CRONACA Al caso dei giovani calciatori tailandesi rimasti imprigionati in una grotta insieme al loro allenatore si intreccia una partita tutta politica. Per la giunta militare che dal 2014 governa il paese e che da un anno continua a rimandare le elezioni promesse per ristabilire la normalità, le operazioni di soccorso sono un’occasione per cercare di salvare un’immagine compromessa da quella questione e dagli scandali. E allo stesso tempo una cartina di tornasole dello scontro tra èlites
urbane e masse rurali che caratterizza il paese. POLITICA Dagli Stati Uniti arriva la proposta politica shock di Dambisa Moyo con cui un settore della borghesia liberale pensa di mettersi al riparo dal ripetersi di eventi come l’elezione di Trump e la Brexit: subordinare il diritto di voto al superamento di un esame da parte degli elettori. Un’idea che svela allo stesso tempo paure profonde della classe dirigente per la crisi della democrazia rappresentativa nel mondo, ma anche la sua incapacità di rispondere a tale crisi in termini politici. L’introduzione di nuove restrizioni al diritto di voto, dopo la generalizzazione del sistema maggioritario con sbarramento a partire dai primi anni ’90, può far paura al mondo del lavoro se si pensa che le elezioni siano il terreno principe su cui contrastare le politiche di compressione salariale e riduzione dei diritti sindacali in atto a partire da quegli stessi anni. Ma davvero è cosi? ECONOMIA In realtà il terreno dello scontro nella società e in particolare nel mondo del lavoro appare sempre più l’unica arma efficace. Tanto più che, come argomenta un saggio che ci arriva dal sindacalismo americano più combattivo, nonostante l’avanzata delle imprese e lo smantellamento progressivo delle garanzie a tutela del lavoro, l’economia del just-in-time
globale, pur di risparmiare sui costi di produzione, ha aperto una serie di falle in cui l’iniziativa sindacale può incunearsi ottenendo risultati importanti. Una riflessione strategica sul sindacalismo del terzo millennio.
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