SOCIETA’ L’insegnamento più interessante che possiamo trarre dal coronavirus è che viviamo in un sistema economico e in società vulnerabili, costruite su equilibri instabili, in cui – per usare la famosa metafora – basta il battito d’ali di una farfalla per innescare una reazione a catena dalle conseguenze imprevedibili. Una fragilità a cui contribuiscono fattori soggettivi: un circo mediatico alla spasmodica ricerca del titolo strappa-clic e degli indici di ascolto e una politica screditata in cerca di occasioni per riabilitarsi (e spostare l’attenzione dalle questioni che contano). Ma anche e soprattutto fattori oggettivi: un capitalismo globale fondato sul just-in-time e la moltiplicazione dei centri di potere, con apparati statali depauperati dai tagli alla spesa e un baricentro produttivo spostato sempre più a est, in cui la linfa vitale delle merci e delle materie prime scorre lungo catene di fornitura spesso difficili da proteggere, tanto più in un contesto di crescente instabilità politica e sociale, che rendono il mondo un mosaico sempre più complesso. Così come per le vittime di questi giorni c’è da chiedersi: il problema è il virus o il paziente debilitato?
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