4 novembre, caduti per la “Patria Spa”

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Una pagina vergognosa su cui chi celebra il 4 novembre sorvolerà. Nel biennio 1920-1922 la Commissione d’inchiesta parlamentare sulle spese di guerra indagò le speculazioni dei capitalisti italiani sul conflitto. Giolitti era stato costretto a crearla. Mussolini la sciolse dopo aver fatto sparire le carte.

MARCO VERUGGIO, 26 ottobre 2024

Da quando anche l’Italia è, lo si voglia o no, mobilitata nella guerra dell’ “Occidente democratico” ai suoi nemici orientali, la retorica patriottarda si è fatta sempre più nauseabonda. L’Esercito Italiano scrive sul suo sito che “Il 4 novembre l’Italia ricorda l’Armistizio di Villa Giusti – entrato in vigore il 4 novembre 1918 – che consentì agli italiani di rientrare nei territori di Trento e Trieste, e portare a compimento il processo di unificazione nazionale iniziato in epoca risorgimentale” e “in special modo, tutti coloro che, anche giovanissimi, hanno sacrificato il bene supremo della vita per un ideale di Patria e di attaccamento al dovere: valori immutati nel tempo, per i militari di allora e quelli di oggi”. Insomma un “sacrificio” compiuto per nobili ideali, dunque qualcosa a cui potremmo essere nuovamente chiamati dalla Patria. La storia smentisce e indica la vera natura di quel conflitto: un’orgia di morte e distruzione pagata col sangue di milioni di proletari, che i capitalisti di allora utilizzarono per riempirsi i portafogli, complici prima i liberali poi i fascisti.

Vittime e profittatori di guerra

Allo scoppio della Prima guerra mondiale anche le grandi potenze sono impreparate a produrre l’enorme quantità di armamenti e munizioni, ma anche di vettovaglie e derrate alimentari, necessarie ad alimentare quel massacro su scala industriale. A partire almeno dalla seconda metà dell’Ottocento, quando sui campi di battaglia fanno la loro comparsa eserciti di massa e armi sempre più potenti e sofisticate, la guerra diventa uno scontro non solo militare, ma anche industriale e demografico che divora enormi capitali. La Prima guerra mondiale, da questo punto di vista, è un ulteriore salto di qualità. Tra il 1915 e il 1918 la macchina da guerra italiana assorbe tra i 130 e i 150 miliardi di lire, il doppio dell’intera spesa militare del cinquantennio precedente, una massa di denaro che alimenta appetiti, speculazione e vere e proprie truffe da parte dei fornitori delle forze armate, complici funzionari dello Stato, uomini politici e gerarchie militari.

L’impatto che alcuni di quei casi esercitano sull’opinione pubblica fin dai primi mesi di guerra, nel 1920, a guerra terminata, costringe il quinto governo Giolitti a creare una Commissione d’inchiesta parlamentare che lavorerà per due anni e mezzo, raccogliendo una gigantesca mole di dati e di documenti, grazie a cui accerterà 155 casi di “guadagni illeciti” su 1.o48 esaminati, il 15%. Un risultato che però risente dei tempi molto stretti imposti da Giolitti alla Commissione, istituita nel luglio 1920 e col mandato di chiudere le indagini entro il 31 dicembre 1921, scadenza in seguito posticipata alla fine del 1922. Nei 30 mesi di lavoro i 15 deputati e 15 senatori ottengono la restituzione di 22 milioni di lire di “sovraprofitti illeciti” e chiedono la restituzione di altri 324, nel complesso tra il 2,0% e il 2,5% del costo totale della guerra, percentuale presumibilmente destinata a salire parecchio se l’indagine fosse proseguita. Per esemplificare il fenomeno ci concentriamo su due casi.

La cresta sui gas tossici

“Sorta la necessità di impiegare gas asfissianti come mezzo di guerra in contrapposto all’uso già fattone dal nemico” si legge in una relazione della Commissione conservata presso l’Archivio del Senato, “[…] fu stipulato il relativo contratto per la fornitura di tonnellate 150 di gas fosgene a lire 15 il chilogramma, col cav. Fausto Morani, presidente della Banca centrale per l’industria, e gerente uno stabilimento in Piano d’Orta della Società del Carburo di calcio, di cui era delegato”. Secondo gli autori del documento la Commissione gas asfissianti, presieduta da Emanuele Paternò, senatore ed ex sindaco di Palermo di nobilissime origini ma di famiglia garibaldina, politicamente legato a Giolitti, decide di acquistare da Morani a un prezzo esorbitante, circa tre volte il valore di mercato, il fosgene prodotto col costosissimo metodo tetra. Eppure Paternò non è uno sprovveduto: allievo di Stanislao Cannizzaro, il maggiore chimico italiano dell’Ottocento, e docente di chimica all’Università di Torino, allo scoppio della guerra egli mette a disposizione il suo sapere occupandosi di esplosivi, gas e maschere antigas.

Sul suo cammino trova Demetrio Helbig, chimico anche lui e sottotenente volontario del Genio aeronautico, che propone all’esercito di elaborare un metodo di produzione industriale assai meno costoso, ispirandosi ai tedeschi. Nel 1916 Helbig deposita due brevetti, di cui concede all’autorità militare l’uso gratuito fino alla fine della guerra. Grazie a Helbig l’esercito può produrre il fosgene pagandolo un sesto di quanto aveva chiesto Morani, a cui nel frattempo è stato rescisso il contratto e chiesto di restituire mezzo milione di lire. Ma il sottufficiale viene accusato di germanofilia e spionaggio, anche facendo leva sul suo cognome, e sottoposto a severe misure disciplinari. Perciò presenterà un esposto alla Commissione contro i protagonisti dell’affaire fosgene e della persecuzione ai suoi danni.

Helbig in particolare accusa Paternò di “aver favorito illecitamente la fornitura del gas fosgene – metodo del tetra al cav. Morani Fausto, con grave danno dell’Erario e dell’esercito stante la eccessività del prezzo pattuito e la scarsa produzione in confronto del gas prodotto con metodo sintetico”. Il senatore siciliano avrebbe approfittato delle sue entrature in ambienti militari per suggerire l’utilizzo del fosgene prodotto col metodo tetra e indotto Morani a offrirsi come fornitore. Inoltre avrebbe ostacolato l’adozione del metodo di produzione suggerito da Helbig, nonostante lui stesso ne avesse scoperto e annunciato alla comunità scientifica le basi scientifiche nel 1878. Inoltre avrebbe messo a disposizione di Morani il proprio laboratorio universitario per fare la sperimentazione, millantando poi di averla fatta nella propria azienda e si sarebbe adoperato per fargli ottenere il contratto in cambio di denaro. Infine avrebbe alimentato le accuse contro Helbig.

A queste accuse la Commissione risponderà accogliendo di fatto la sostanza dell’esposto di Helbig, ma assolvendolo dall’accusa di aver agito per interesse personale, senza peraltro indicare una spiegazione alternativa: “Pur escludendosi che l’operato del senatore prof. Paternò sia stato determinato da qualsiasi fine illecito o di lucro, anzi riconoscendo l’azione altamente fattiva e benemerita da lui spiegata durante la guerra nell’applicazione bellica dei gas asfissianti e del fosgene in ispecie, è da ritenersi che l’errore dell’amministrazione circa la fornitura colla banca centrale fu indirettamente e involontariamente agevolato dal suo silenzio e contegno durante la fase preparatoria del contratto col Morani”.

Le “corazze di ghiaccio”

Se speculare sui gas tossici, che saranno vietati alla fine della guerra, richiede una certa quantità di pelo sullo stomaco, che la “Patria” risparmi persino sulle divise di coloro a cui chiede di immolarsi in trincea è stomachevole.

Per il panno grigio-verde utilizzato per le uniformi dei soldati italiani lo Stato tra il primo maggio 1915 e il 31 dicembre 1918 spende oltre un miliardo e trecento milioni di lire, una bella somma, spartita tra un’ottantina di imprese, perlopiù biellesi, ma anche degli altri distretti del tessile, incluso il pratese. Pure già nei primi mesi di guerra i soldati, scrivono i commissari, si accorgono che la stoffa “lasciava passare l’acqua come un setaccio; così sotto la pioggia e la neve ed il forte freddo divenivano vere corazze di ghiaccio”. Gare al ribasso da una parte e vere e proprie truffe dall’altra, infatti, spingono i fornitori di panno a impiegare tessuti di qualità inferiore a quella scritta nei contratti e questo, finché dalle trincee non si levano le prime proteste, conviene sia alle imprese, che guadagnano di più, sia allo Stato, che spende meno.

Due inchieste condotte nei primi due anni di guerra concludono che “gli industriali non riconobbero limiti all’impiego della lana meccanica o di cascami d’infima qualità”, tanto che la divisa non rispondeva “più al principale suo scopo di riparare dal freddo e dalle intemperie i soldati”. Ma neppure l’emergere di questa scomoda verità è sufficiente a cambiare le cose. E quando, appurate le responsabilità degli industriali, la Commissione si appresta a stabilire gli importi delle cifre da chiedere loro indietro, spariscono persino i “libri delle miste”, cioè i registri aziendali in cui sono annotate le materie prime utilizzate nella produzione dei panni e in che percentuale, per cui si è costretti a ricorrere a calcoli grossolani, che verosimilmente riducono in modo rilevante la stima degli illeciti e dunque l’importo delle somme che i produttori dovranno restituire. Alla fine vengono recuperati circa 29 milioni di lire, 26 provenienti della aziende del biellese e i restanti tre da Prato.

Insomma ai soldati a cui si chiede di stare per mesi accovacciati nel fango delle trincee e di schizzarne fuori quando i loro ufficiali glielo ordinano per correre incontro al fuoco nemico rischiando un braccio, una gamba o la vita stessa, per “rientrare in possesso di Trento e Trieste e portare a termine il processo di unificazione nazionale”, la “Patria” non garantisce neppure una divisa che li protegga dall’acqua e dal gelo. Per i commissari la responsabilità pesa sulle imprese tessili, ma anche, come nel caso del gas, di quei settori militari e civili dello Stato che di fatto danno loro mano libera, intervenendo solo a cose fatte, per placare il clamore suscitato dagli scandali.

E all’estero? Il caso inglese

Non si tratta di episodi isolati, frutto di un’atavica propensione italiana alla truffa. Nel 1915 anche la Gran Bretagna deve confrontarsi col problema dell’insufficienza di armamenti. Nonostante la produzione sia cresciuta di quasi 20 volte nei primi sei mesi di guerra, a giugno 1915, ad esempio, manca all’appello il 97% dei proiettili esplodenti necessari. Perciò viene creato il Ministry of Munitions, affidato a un politico di lungo corso come David Lloyd George, che lascia appositamente la carica di Cancelliere dello scacchiere (il ministro del tesoro britannico). Lloyd George fa del Ministero un organismo che, sono parole sue, “dal primo all’ultimo uomo era costituito da uomini d’affari”. Alla cooptazione di manager provenienti dal settore privatosi ricorre non solo per le loro competenze e le loro relazioni d’affari, ma anche per compensare il disappunto con cui i capitalisti britannici hanno accolto il crescente intervento diretto dello Stato nella sfera dell’industria, che viola uno dei dogmi della dottrina economica liberale. Insomma lo Stato si “intromette” nell’economia, ma in cambio offre cospicui vantaggi.

Tra gli uomini d’affari cooptati nel ministero c’è Sir William Charles Wright, figlio di John Roper Wright, socio di Wright, Butler & Co, un’azienda siderurgica delle Midlands. La società, insieme a Baldwins Ltd. e Gloucester Railway Carriage & Wagon Co Ltd., aveva acquisito un’acciaieria a Port Talbot, nel Galles. William Charles Wright ne diventa direttore e nel giugno 1915 è assunto al Ministry of Munitions, probabilmente da Lloyd George in persona, per supervisionare la fornitura e la distribuzione dell’acciaio e, insieme ad altri due personaggi legati all’industria siderurgica – Sir Leonard Llewellyn e W.T. MacLellan – fissare i prezzi delle lamiere d’acciaio.

Christopher Addison, segretario parlamentare e vice di Lloyd George al Ministero, nei suoi diari racconta di essere stato costretto a ricordare a Wright “che avrebbe dovuto cercare di dimenticare di essere un uomo d’affari che cura i propri interessi”. E aggiunge: “Wright aveva difficoltà a fare gioco di squadra con noi e a quanto pare istruì i produttori di acciaio affinché chiedessero condizioni di favore sulla tassazione dei profitti, così da indurci a concedere forti sgravi sui contratti di cui veniva estesa la portata”. Un industriale dell’acciaio a cui era rimasto un barlume di amor patrio a un certo punto fa filtrare una corrispondenza tra Wright e i suoi colleghi acciaieri, in cui li esorta a chiedere sgravi del 75% su quei contratti. Nondimeno, dopo un allontanamento di 10 mesi dal suo incarico, Wright è riassunto nel gennaio 1917 come vicedirettore del Ministero e qualche mese dopo diventa presidente del Comitato per l’approvvigionamento del minerale di ferro domestico.

In questo modo Baldwins Ltd., ex socia di Wright a Port Talbot, di cui nel 1915 ha assunto il pieno controllo, può far leva sugli aiuti ministeriali per ampliare gli stabilimenti e migliorarli tecnologicamente. Nel novembre 1917, in piena guerra, l’Herald of Wales rivela che i profitti di Baldwins Ltd sono tali da consentire il versamento di un secondo dividendo agli azionisti, più un premio esentasse.

Mussolini copre i capitalisti italiani

Tornando alla Commissione d’inchiesta parlamentare italiana, scaduto il mandato conferitole da Giolitti, il nuovo capo del governo, Benito Mussolini, nel 1923 mette fine ai lavori, che i membri della Commissione avevano chiesto di completare e, invece di condividere le carte col Parlamento, intima di consegnargliele, assicurando che il Governo deciderà cosa farne, cioè, a quanto risulta, far sparire tutto. In altre parole il fascismo si fa carico di proteggere i capitalisti del nord, le banche, i latifondisti e gli agrari, nonché i loro partiti politici di riferimento e i loro vertici, imponendo il silenzio sul loro operato nei sette anni precedenti la sua ascesa al potere. Inclusi i tentativi di speculare sulle speculazioni, cioè di sfruttare il clima suscitato dall’emergere dei primi scandali a danno dei propri concorrenti. I giornali della famiglia Perrone, proprietaria dell’Ansaldo, ad esempio, accusano gli Agnelli di aver lucrato sulle forniture di trattori per la motoaratura di Stato (Ansaldo e FIAT sono entrambe indagate dalla Commissione per i numerosi contratti stipulati con lo Stato e non ne escono bene).

Il colpo di spugna di Mussolini sulle malefatte compiute dall’intero sistema imprenditoriale e politico italiano prima dell’avvento del fascismo conferma che questo non fu, come ci raccontano gli storici fai da te alla Cazzullo, il frutto di un inspiegabile impazzimento collettivo. Fu, al contrario, il movimento a cui le classi dominanti, nel clima teso del dopoguerra e con la minaccia della Rivoluzione Russa all’orizzonte, affidarono il compito di impedire la rivolta di chi in trincea aveva pagato il prezzo più alto, perlopiù operai, contadini e settori di piccola borghesia, resi consapevoli di essere soltanto pedine sacrificabili agli interessi dei loro padroni. Incarico affidato nell’illusione che manganello e olio di ricino, terminato il loro “sporco lavoro”, sarebbero stati deposti restituendo al re e alla borghesia liberale lo scettro del comando. Ma a Mussolini, che dell’intervento italiano in guerra era stato tra i massimi fautori , toccò anche eliminarne scorie e resti imbarazzanti.

Oggi come allora il nemico non sta in qualche lontana capitale orientale, ma qui vicino a noi. Gli eredi dei Morani e dei Paternò sono già pronti a ricordarci quanto sia bello “sacrificare il bene supremo della vita per un ideale di Patria e di attaccamento al dovere”. Loro intanto preparano la fattura.

Bibliografia

“A businessman’s organisation. The Ministry of Munitions”, Arming All Sides: https://armingallsides.org.uk/case_studies/a-businessmans-organization/

Calascibetta Franco, “La grande guerra di Emanuele Paternò”, Rendiconti Accademia Nazionale delle Scienze detta dei XL, Memorie di Scienze fisiche e naturali, serie V, vol. XXXIX, tomo II, 2015

Calascibetta Franco, “Paternò Emanuele”, in Dizionario Biografico Treccani: https://www.treccani.it/enciclopedia/emanuele-paterno_(Dizionario-Biografico)/

Commissione parlamentare d’inchiesta sulle spese di guerra, “Relazione sulla fornitura di gas asfissiante fosgene e sulle prime indagini sommarie in seguito alla denuncia del prof. Demetrio Helbig (18 gennaio 1921)”, Archivio Storico Senato della Repubblica (Fondo Antonio Cefaly): https://patrimonio.archivio.senato.it/inventario/scheda/antonio-cefaly/IT-AFS-083-004083/relazione-sulla-fornitura-gas-asfissiante-fosgene-e-sulle-prime-indagini-sommarie-seguito-alla-denuncia-del-prof-demetrio-helbig#lg=1&slide=0

Crocella CarloMazzonis Filippo (a cura di), L’inchiesta parlamentare sulle spese di guerra, 3 voll., Archivio storico Camera dei Deputati, 2002

Ecca Fabio, “Critica alla guerra. La commissione d’inchiesta parlamentare sulle spese di guerra (1920-1923), Scienza e Pace, Rivista del Centro Interdisciplinare Scienze per la Pace dell’Università di Pisa , 29/2015

Ecca Fabio, “Denaro illecito, due casi di sovraprofitto nella Grande guerra”, Krypton, Periodico semestrale del Dipartimento di Lingue, Letterature e Culture Straniere, Roma TrE-Presse, 4/2014

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