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ECONOMIA&POLITICA Lo scandalo Wirecard, il gruppo tedesco dei pagamenti online fallito a giugno, dopo aver scoperto che quasi due miliardi di euro registrati a bilancio ‘probabilmente non ci sono’, ci interroga sul vero significato degli scandali e della letteratura giornalistica specializzata nella nostra società. Nella vulgata cara ai Travaglio lo scandalo è sempre l’eccezione che conferma la regola di un liberalismo ideale, migliore dei mondi possibili, insidiato solo dalla disonestà di qualche lestofante e a cui fanno da scudi umani giudici, giornalisti d’assalto e cittadini onesti. Al milionesimo episodio registrato a ogni possibile latitudine i sostenitori del capitalismo etico ripeteranno che si tratta di un’eccezione, di una questione morale e che queste cose succedono soprattutto in Italia. Una recente inchiesta del Financial Times sull’ex dg di Wirecard mette in luce la commistione tra affari e geopolitica nel paese additato dai più come il modello del rigorismo, non solo economico ma anche morale, in Europa: la Germania. Quando si mescolano finanza, cooperazione internazionale, guerra in Libia e attentati in Gran Bretagna, immigrazione, manager, ministri, spie e mercenari pensiamo davvero che il problema sia la malvagità sempre in agguato nelle segrete profondità dell’animo umano? Un po’ come nel dibattito di questi giorni su Autostrade: la colpa è della gestione di mercato o degli avidi Benetton?


L’Europa degli scandali: Wirecard

L’acceso dibattito di questi giorni sulle concessioni autostradali dopo il crollo del Ponte Morandi e lo scandalo dei mesi successivi, con la scoperta delle criminali omissioni di Autostrade, stimolano qualche riflessione sul ruolo degli scandali nella nostra società. Gli scandali e tanto più la folta letteratura giornalistica che se ne occupa svolgono un ruolo tranquillizzante, presentando crimini e truffe come eccezioni che confermano la regola di un capitalismo che funzionerebbe benissimo se non ci fossero le solite mele marce. In Italia, poi, secondo la vulgata da Fatto Quotidiano lo scandalo costituisce l’eccezione nell’eccezione, la deviazione dalla corretta traiettoria in un paese proverbialmente incline a tali deviazioni, ma, per sua fortuna, collocato in un’Europa maestra di dirittura morale.

Ma basta guardarsi attorno con un po’ più di attenzione per scoprire che moralità e nazionalità c’entrano poco. Gli scandali avvengono a ogni latitudine e longitudine e coinvolgono politici, imprenditori e rappresentanti di ogni ordine, ceto e classe sociale, ovviamente in proporzione alle opportunità di cui ciascuno di essi gode, perché certo un finanziere o un funzionario pubblico rispetto a una cassiera della Conad hanno ben altre opportunità di usare la propria posizione per rimpinguare il conto corrente alle isole Cayman. Gli scandali avvengono perché favoriti da un ordinamento sociale che non solo incentiva chi può ad approfittarsene, ma anche che, quando c’è in ballo l’economia, è pronto a giustificare qualunque cosa, anche far lavorare i propri dipendenti senza mascherine e distanze di sicurezza in piena pandemia o risparmiare sulla manutenzione dei ponti e delle gallerie autostradali. E’ emblematico che oggi in Italia nessuno metta in dubbio la responsabilità di ASPI per i 43 morti del Ponte Morandi, ma in molti critichino l’opportunità di colpire l’azienda ‘per ragioni economiche’. Berlusconi e Renzi sono persino riusciti a fare appello al parere (ipotetico) della magistratura e certo dev’essere costato non poco a entrambe. Ed è altrettanto emblematico che gli strali dei più battaglieri fautori della revoca si siano concentrati non contro la gestione di mercato, bensì contro gli avidi Benetton che hanno preferito i dividendi al cilicio.

Nelle ultime settimane ci siamo occupati di due scandali avvenuti in Germania, il paese considerato da molti (classi dirigenti tedesche incluse) il più virtuoso d’Europa. Uno riguardava lo sfruttamento e la violazione delle più elementari regole di sicurezza anche durante il lockdown da parte della multinazionale della carne suina Tönnies e l’altro la presenza di una cellula neonazista all’interno di un’unità di élite dei corpi speciali. Oggi ci occupiamo, traducendo un’inchiesta del Financial Times, di uno scandalo che probabilmente nei prossimi mesi creerà imbarazzi ben più grandi all’establishment tedesco. Wirecard è un gruppo tedesco quotato nel prestigioso listino DAX 30 alla Borsa di Francoforte, specializzato nel settore dei pagamenti online, dove è uno dei maggiori concorrenti di Paypal. Lo scorso 22 giugno Wirecard ha annunciato che 1,9 miliardi di euro messi a bilancio ‘probabilmente non esistono’ e tre giorni dopo ha dichiarato fallimento. Nei giorni scorsi il governo di Angela Merkel è stato messo in imbarazzo dalla notizia che alla fine del 2019 il ministro delle finanze tedesco aveva incontrato in segreto i vertici della società per parlare della certificazione dei bilanci societari da parte della società specializzata KPMG. In precedenza era emerso che la società di un ex ministro della CDU era stato assoldato da Wirecard come consulente per portare a termine l’acquisto di quote in una finanziaria cinese. L’inchiesta del Financial Times riguarda alcuni risvolti geopolitici del caso Wirecard e mostra la sconcertante commistione tra affari e politica internazionale. Sconcertante, in realtà, solo se pensiamo di trovarci davanti all’ennesima eccezione.


Dai pagamenti agli armamenti: la doppia vita di Jan Marsalek di Wirecard

SAM JONES, PAUL MURPHY, HELEN WARRELL, Financial Times, 10 luglio 2020

Sospettato per una delle più grandi frodi finanziarie tedesche parlava di creare una milizia in Libia e si vantava delle sue avventure in compagnia di militari russi.

Erano gli inizi del 2018 quando Jan Marsalek, giovane direttore generale dell’azienda tedesca Wirecard, leader nel settore della tecnofinanza, teneva una riunione nella sua sontuosa residenza a Monaco per parlare di un nuovo speciale progetto a cui si stava interessando: reclutare 15.000 miliziani libici.

Mister Marsalek a seguito dell’implosione di Wirecard è scomparso dalla circolazione. E’ stato spiccato un mandato d’arresto internazionale nei suoi confronti. I giudici tedeschi lo considerano uno dei principali sospettati nell’ambito di una vasta truffa che per anni ha gonfiato i bilanci e i profitti della società di pagamenti online contribuendo a spingerla nel prestigioso listino DAX 30 alla Borsa di Francoforte.

Ma, come rivelano documenti e dichiarazioni di alcuni testimoni di prima mano, gli interessi di Marsalek andavano ben oltre la contabilità poco ortodossa del gruppo.

Il quarantenne austriaco conduceva più vite, caratterizzate da complessi intrecci di interessi economici e politici. Talora questi interessi combaciavano con gli aggressivi piani di espansione di Wirecard in alcuni mercati di frontiera. Talora invece coincidevano col vasto e insolito ambito degli investimenti personali dello stesso Marsalek. E talora, infine, apparivano ben allineati col lavoro delle agenzie di intelligence russe.

Marsalek ora è un soggetto al centro dell’interesse di tre servizi segreti occidentali, come riferiscono agenti dei tre paesi.

In particolare questi sono curiosi di capire i legami del manager con singoli e gruppi legati al direttorato dell’intelligence militare russa, il GRU – l’agenzia accusata del tentato assassinio dell’ex spia Sergei Skripal a Salisbury, della guerra segreta in Ucraina e dell’intrusione nelle elezioni presidenziali americane del 2016.

Dal 2015 la Libia è stata, oltre a Wirecard, uno dei fulcri dell’interesse di Marsalek. Le sue attività in quel paese – frammenti delle quali sono stati ricostruiti dal Financial Times – fanno luce sul suo secondo lavoro: progetti segreti che lo portavano in giro per il Medio Oriente, spesso in zone di guerra. Negli ultimi dieci anni la sanguinosa guerra civile in Libia ha tenuto alla larga solo gli investitori meno avventurosi e i politici meno audaci. Ma è diventata luogo elettivo di un conflitto di interessi, sia commerciali che diplomatici, che ha luogo all’ombra. E campo di azione delle spie.

Negli ultimi sei mesi il FT ha parlato con una mezza dozzina di individui che hanno lavorato a diretto contatto col manager austriaco per realizzare alcuni progetti nel paese nordafricano e hanno avuto accesso a documenti ed email inerenti affari che andavano ben oltre il raggio della sua attività professionale di dirigente di una delle più importanti multinazionali tedesche.

La maggior parte di loro ha voluto restare anonima perché teme di mettere a rischio il proprio lavoro e la propria sicurezza.

‘In generale Marsalek è un personaggio assai strano: ha una straordinaria affinità elettiva per gli apparati di sicurezza ed è molto misterioso’, dice uno dei suoi ex collaboratori. ‘Non saprei se sia un’attitudine naturale o una messa in scena’.

Un altro lo ricorda nel giugno del 2017 al Käfer-Schänke di Monaco, un lussuoso ristorante che è stato uno dei ritrovi preferiti di Marsalek. Seduto a una tavola apparecchiata con tovaglie di lino inamidate e immacolati bicchieri di cristallo il manager si vantava con due commensali di un viaggio fatto per visitare le rovine di Palmira, in Siria, come ospite dell’esercito russo. Diceva di essere andato là ‘coi ragazzi’ dopo che questi avevano riconquistato la città sottraendola all’ISIS e che era stata un’esperienza fantastica. Il ministro della difesa russo non ha risposto a una nostra richiesta di commenti in merito.

Ciò che è difficile da capire, osserva un ufficiale dell’intelligence, è fino a che punto Marsalek capisse da che tipo di personaggi si era fatto coinvolgere o se  le sue azioni, spesso malaccorte, invece fossero guidate da un frustrato avventurismo.

Il FT ha posto una serie di domande sulle attività di Marsalek al suo avvocato in Germania, che non ha voluto commentare.

Una sontuosa residenza vicina al consolato russo

Prinzregentenstrasse 61 veniva descritta da Marsalek come la propria casa. L’enorme villa in città – che sorge di fronte al compound del consolato russo a Monaco – era tanto austera all’interno quanto ricca di decorazioni esterne. Gli ospiti venivano accolti da una assistente e condotti nel salone immacolato. Pavimenti lucidati di fresco e muri candidi di marmo, adornati in modo spartano ma sorprendente, con opere d’arte moderna, davano al luogo un’inquietante ricercatezza, ricordano i suoi ospiti: una via di mezzo tra un Apple store e lo studio di un avvocato di lusso.

Marsalek appariva un esteta, curato anche nel vestire, con sempre indosso quella che una fonte descrive come una ‘uniforme’, abiti perfettamente confezionati su misura dal sarto e una camicia bianca inamidata col collo aperto.

Il tema ufficiale della riunione a Prinzregentenstrasse 61 nel febbraio del 2018 era discutere l’opera umanitaria di ricostruzione della Libia.

Qualche mese prima, tramite i contatti che aveva all’Associazione per l’Amicizia tra Austria e Russia, un’organizzazione sostenuta dal governo russo per promuovere le relazioni tra politici di lungo corso nei due paesi, Marsalek per realizzare quel progetto aveva reclutato un gruppetto di esperti austriaci di sicurezza e cooperazione internazionale.

L’Associazione, che in passato ha ricevuto delle critiche per le sue relazioni confidenziali con Mosca, questa settimana è stata oggetto di numerosi titoli sulla stampa austriaca, dopo la rivelazione che il ministro delle finanze di Vienna riceveva da Marsalek documenti secretati ottenuti dal ministero degli interni e dai servizi austriaci e li passava al partito populista di estrema destra, l’FPÖ.

Tuttavia alcuni di coloro con cui Marsalek aveva intessuto rapporti per introdursi in certi ambienti, tra cui alcuni funzionari governativi austriaci ed ex diplomatici, man mano che ne vennero a conoscenza cominciarono a trovarsi a disagio per gli interessi libici del manager.

All’inizio Marsalek, secondo un accordo informale discusso in una serie di email, aveva offerto loro 200.000 euro per lavorare per lui e redigere un rapporto confezionato secondo le proprie esigenze. Attraverso alcuni contatti all’interno dell’Associazione egli si era assicurato un ulteriore finanziamento di 120.000 euro da parte di alcuni ministeri del governo austriaco, tra cui quello della difesa, come testimoniano alcuni documenti ufficiali con tanto di firma.

Ma col passar del tempo Marsalek appariva sempre meno interessato a ricostruire la società libica devastata dalla guerra, cioè all’obiettivo di cui inizialmente si era discusso.

‘I suoi interessi erano molto lontani dal tema dello sviluppo economico’ osserva una persona che ha lavorato al progetto.

‘Non so quali fossero davvero i suoi piani, ma pare che noi fossimo una foglia  di fico per coprire qualunque cosa stesse facendo’, racconta un altro. ‘Eravamo lì per dare un’apparenza umanitaria ai suoi affari’.

In realtà, affermano tre suoi ex collaboratori, Marsalek era molto più interessato a come poter ottenere il controllo sui flussi migratori sul confine libico meridionale con la forza delle armi.

‘La sua priorità era “chiudere il confine”, preferibilmente (sic) utilizzando “un corpo di polizia di confine forte di 15.000 uomini” formato da ex miliziani. Lo ha ripetuto durante l’intera conversazione’ è scritto nelle minute prese all’incontro del febbraio 2018 e diffuse tra i partecipanti, di cui il FT ha preso visione. ‘Dal suo punto di vista quest’iniziativa avrebbe potuto essere usata col governo nazionale di Tripoli come una leva contro le influenti personalità della Libia orientale. Chiudere i confini poteva essere una mossa presentata all’UE come una ‘soluzione alla crisi migratoria’…

Per realizzare tali obiettivi Marsalek non indulgeva a soluzioni graduali. Egli manifestava scarso interesse per le pagine zeppe di dettagli che gli esperti avevano preparato parlando di sviluppo economico e sociale e di come incoraggiare l’imprenditoria locale e la società civile della Libia meridionale frantumata dalla guerra.

In un’occasione una persona impegnata in una discussione simultanea nella stessa stanza dice di averlo sentito parlare di ‘equipaggiamento’ da mandare in Libia. Ed è stato osservato mentre guardava un video ripreso da una videocamera portatile con le immagini di uno scontro tra ignoti gruppi armati libici. Le immagini erano estremamente crude.

Particolare ancor più inquietante è la proposta di Marsalek di presentare agli austriaci che aveva raggruppato ‘un russo che ha molti ruoli… che può fornirci servizi di sicurezza’, come annotava  un partecipante a una delle tante discussioni.

Il russo in questione era Andrey Chuprygin – che Marsalek spesso chiamava semplicemente ‘il colonnello’. Chuprygin è un veterano esperto di questioni arabe che insegna all’Istituto Superiore di Economia di Mosca. E ha una lunga esperienza di incarichi in Medio Oriente nell’esercito russo.

Per due collaboratori di Marsalek con un passato nella diplomazia e nei servizi di sicurezza europei il suo coinvolgimento suonò come un campanello d’allarme circa i reali obiettivi del progetto libico.

Un agente dei servizi occidentali giudica corrette le preoccupazioni dei due: Chuprygin era considerato con un alto grado di verosimiglianza un ex alto funzionario del GRU ancora strettamente legato all’agenzia.

Chuprygin ha dichiarato al FT di aver discusso con Marsalek di questioni di sicurezza in Libia. Le mutevoli dinamiche politiche e tribali sono la mia specializzazione, ha detto.

Ma, ha aggiunto, i suoi contatti col manager erano stati ‘strettamente limitati’ a un’attività di consulenza come ricercatore e conoscitore della lingua. Il russo sottolinea di essersi dimesso dall’esercito nel 1989 e di aver prestato servizio in Medio Oriente nelle forze armate russe solo come specialista di questioni linguistiche: ‘Non ho mai avuto alcun legame con servizi di raccolta informazioni, operazioni militari e o di altro genere’.

Chuprygin afferma anche di non saper nulla delle relazioni tra Marsalek e altre agenzie o forze di sicurezza russe.

Un cementificio libico diventa un accampamento russo

Rafforzata dal suo successo in Siria la Russia negli ultimi anni ha accresciuto in modo significativo il proprio coinvolgimento in Libia. Questa scelta ha offerto un’ampia gamma di opportunità congeniali all’agenda del Cremlino: essere più influente in Libia aiuta la Russia a realizzare l’obiettivo di liberare il Mediterraneo orientale dalla sfera d’influenza della NATO. Questa politica ha aperto la strada a che la Libia diventi un importante acquirente di forniture d’armi russe e ha garantito a Mosca un posto di primo piano al tavolo della diplomazia internazionale. Infine essa è uno strumento per influenzare l’UE facendo leva su quello che negli ultimi 5 anni è stato il tallone d’Achille più delicato e politicamente sensibile per i 27 paesi membri: l’immigrazione.

Il coinvolgimento russo in Libia, in ogni caso, finora è stato rigidamente coperto. Secondo gli analisti militari Mosca ha usato il braccio militare della sua intelligence, il GRU, per coordinare operazioni segrete usando come soldati dei mercenari russi. E’ un modello che ha funzionato bene in Siria e in Ucraina, dove in particolare la presenza di soldati del Gruppo Wagner (gruppo paramilitare russo, NdT) è stata ben documentata da decine di corrispondenze giornalistiche locali e missive diplomatiche. Proprietà, controllo e origini del Gruppo Wagner sono ignote. Pur essendo un’azienda privata le intelligence occidentali ritengono che sia ampiamente utilizzata dal GRU. Anche se il governo russo ha ripetutamente negato qualunque relazione con l’organizzazione.

‘La Russia non è in alcun modo coinvolta in attività militari in Libia e non ha nulla a che fare con questi gruppi’, ha dichiarato al FT il portavoce del Cremlino Dmitry Peskov.

Un rapporto ONU fatto trapelare a maggio è arrivato alla conclusione che dall’ottobre del 2018 tra gli 800 e i 1.200 paramilitari del Gruppo Wagner hanno operato in Libia, ha rivelato la Reuters.

‘E’ un affare assai torbido. Non ci sono tantissime informazioni in proposito’, spiega Sergey Sukhankin, analista alla Jamestown Foundation, think-tank bipartisan americano storicamente legato alla CIA. Sukhankin ha seguito le attività dei contractor militari privati russi in Libia per molti anni. ‘Sono armi geopolitiche. In Libia ci stanno per fare pressione… Per ottenere un effetto leva’.

In realtà i mercenari russi sono nel paese da anni con una serie di dispiegamenti ad hoc. Ma nel 2017, sempre secondo Sukhankin, la loro presenza è diventata più sostanziosa e durevole.

Il primo caso in cui i russi hanno messo gli scarponi sul terreno proprio quell’anno è stato per presidiare gli impianti industriali di cui Marsalek ha ripetutamente vantato di essere comproprietario.

Parecchie decine di soldati dotati di armi pesanti, dipendenti di un altro contractor russo, RSB, sono state assoldate per un’operazione di ‘sminamento’ di alcune fabbriche nella Libia orientale di proprietà della Compagnia Libica del Cemento (LCC), collocata in profondità nel territorio controllato dal signore della guerra Khalifa Haftar, all’epoca il principale alleato della Russia nel paese.

L’RSB si avvale di combattenti altamente addestrati provenienti dalle forze speciali russe. Il suo presidente, Oleg Krinitsyn, ha dichiarato che tra i suoi uomini ci sono veterani degli spetsnaz, provenienti anche dalle temute unità Alpha e Vympel, dell’FSB e del reggimento paracadutisti d’élite Ryazan.

Un portavoce dell’RSB ha dichiarato che la società non conosce Marsalek e ha rapporti solo col direttore di LCC.

Immagini di personale RSB in posa davanti alla scritta inglese ‘minato – RSB Group’, tracciata sui muri con la bomboletta, circolava sui media all’epoca e appare anche sul sito della società. Il portavoce ufficiale del generale Haftar, colonello Ahmed al-Mismari, ha rilasciato diverse interviste in cui ha evidenziato la limitata presenza del gruppo.

RSB ha dichiarato che la sua azione in Libia è stata una ‘missione umanitaria’ e che essa ‘non ha contemplato forme di cooperazione coi servizi speciali del governo della Federazione Russa’.

Il portavoce ha detto che dopo che RSB ha completato il suo lavoro in Libia nell’impianto ‘è apparsa una società fantasma, che ha cercato di operare usando il nostro nome’.

Secondo alcuni account social locali i soldati di stanza nell’impianto di LCC abbandonavano spesso la fabbrica e apparivano impegnati in attività che andavano ben oltre la rimozione degli ordigni.

LCC viene descritta come una società di proprietà della holding Libya Holdings Group, con sede a Londra. LHG si presenta come un’organizzazione che collabora con investitori terzi alla ricerca di partecipazioni negli affari libici.

Ahmed Ben Halim, l’ad di LHG , registrato presso la FCA (l’Autorità per i Servizi Finanziari britannica), ha detto al FT che l’azienda non ha relazioni con Marsalek. LHG in precedenza aveva dichiarato pubblicamente che la holding è finanziata da 15 investitori sauditi ed emiratini.

Prima di essere acquistata da LGH nel 2015 LCC apparteneva alla holding austriaca Asamer.

Secondo quanto riferiscono cinque distinte fonti in Austria, Germania, Libia e Russia, Marsalek comunque affermava di essere uno dei nuovi proprietari di LCC.

Alcuni documenti visionati dal FT e provenienti da una società di consulenze di Monaco, la Wieselhuber & Partner, che in passato ha lavorato per la Asamer, mostra come ulteriore evidenza che nel 2017 il manager aveva presentato domanda per la remissione di un debito da 20 milioni di euro garantita dallo Stato austriaco, dando in pegno alcuni immobili di LCC. I documenti indicano che il denaro è stato versato proprio a Marsalek.

Secondo Sukhankin lo ‘schema’ per il dispiegamento di mercenari russi in Medio Oriente e in Africa ruota sempre più attorno all’insediamento di una presenza sul terreno instaurando relazioni contrattuali di carattere commerciale, come quelle tra RSB e LCC.

L’analista indica come caso paragonabile alla Libia la presenza a titolo ufficiale del Gruppo Wagner nella Repubblica Centrafricana, dove il corpo ha un contratto per la sicurezza degli impianti minerari.

‘Nei luoghi dove operano devono essere finanziati dalle loro fonti. Non solo perché ciò rende plausibili le smentite del Cremlino ma anche perché permette di dare al progetto che assolvono un carattere commerciale (…)relazioni sostenibili che li mantengano sul campo senza oneri per la Russia (…) gli aspetti geoeconomici di questo modello sono importanti quanto la possibilità di esercitare un’influenza militare’.

Quando ha messo mano ai suoi piani per stabilire una milizia a guardia del confine libico meridionale, Marsalek ha ripetuto regolarmente agli interlocutori che non avrebbe avuto problemi ad assicurarsi la presenza sul campo di unità armate russe, proprio grazie alle strette relazioni che aveva con ‘specialisti in sicurezza’ di quel paese. E citava i suoi interessi economici in Libia, inclusi i cementifici, come un esempio di ciò che aveva già realizzato.

D’altro canto i grandi progetti di Marsalek in Libia non sembrano essersi mai realizzati. Le attività di LCC sono ancora in larga misura sospese. La Libia è ancora un paese frantumato. I mercenari russi in quel paese hanno subito alcune recenti sconfitte. E Wirecard è in bancarotta.

Per molti di quelli che avevano avuto a che fare con lui, anche in modo stretto, le motivazioni del suo agire restano oscure. ‘Voleva esercitare un’influenza e costruire delle relazioni’, ci ha detto uno di loro, ipotizzando che il fatto di non avere avuto un curriculum di studi formale abbia collocato Marsalek nella posizione di un outsider in fase ascendente in Austria e in Germania, con un bisogno di avere un riconoscimento e di fare colpo sugli altri.

Segretezza e dissimulazione sembrano essere stati gli strumenti che il manager aveva imparato a usare a tale scopo, osservano. A Vienna, in particolare, dove reti di relazioni sociali tra individui politicamente affini dominano gli affari da dietro le quinte, Marsalek sembra aver cercato con ogni energia di tessere la sua ragnatela di alleati e uomini giusti al posto giusto.

‘La sola cosa che egli sembra amare più dei segreti e di essere coinvolto in tutte queste attività truffaldine era fartelo sapere’, ha osservato un altro.

Ciò divenne manifesto nel 2018, quando Marsalek si presentò a una riunione d’affari di Wirecard a Londra con un dossier parecchio insolito, che mostrò a investitori e speculatori nell’apparente tentativo o di metterli in imbarazzo o di impressionarli. Wirecard all’epoca – e lui in particolare – stava disperatamente cercando di scoraggiare e, se possibile, di neutralizzare chi stava vendendo allo scoperto le azioni della società.

Nelle mani di Marsalek si trovavano quattro rapporti secretati molto delicati dell’Organizzazione per la messa al bando delle armi chimiche (OPCW), contenenti una dettagliata analisi del complotto russo nella cattedrale della tranquilla cittadina inglese di Salisbury, in cui, nel marzo del 2018, era stato usato uno dei più letali agenti nervini nell’improvvisato tentativo di assassinare un disertore del GRU, Sergei Skripal.

I fascicoli sensibili contenevano la formula chimica precisa del novichok – un veleno creato dagli scienziati sovietici durante la Guerra Fredda.

Non è chiaro dove Marsalek possa avere ottenuto tali documenti. Non ci sono testimonianze di fughe di notizie dall’OPCW, una delle organizzazioni più protette al mondo. Ma alcuni mesi prima del viaggio del manager a Londra quell’organismo era stato oggetto di una serie di azioni di hackeraggio dirette dal GRU, smascherate dai servizi segreti olandesi nell’ottobre del 2018.

Che Marsalek abbia così sfacciatamente ostentato il possesso di quei documenti sensibili a Londra, proprio nel momento in cui l’intelligence e i servizi di sicurezza britannici erano in allerta contro eventuali operazioni dei russi e stavano energicamente cercando delle dritte sull’episodio di Salisbury, indica un’assenza di scrupoli che appare eccessiva persino per un agente operativo russo.

D’altro canto che il manager oggi scomparso sia stato in possesso di tali documenti, d’altro canto, ne fa qualcosa di più di un semplice mitomane.

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