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GEOPOLITICA Questa newsletter esce in edizione speciale in chiaro (quindi il link è condivisibile) per consentire al pubblico italiano di poter accedere al testo integrale di un documento di grande interesse pubblicato in inglese pochi giorni fa e ignorato da un’informazione che a quanto pare l’ha giudicata meno degna di approfondimento dell’outfit di Chiara Ferragni a Sanremo. Si tratta dell’inchiesta di Seymour Hersh, premio Pulitzer, un personaggio che ha fatto la storia del giornalismo d’inchiesta, sul sabotaggio dei gasdotti Nord Stream 1 e 2. Un racconto che conferma i dubbi suscitati dalle ricostruzioni ufficiali e avalla la tesi fin da subito apparsa la più lineare, cioè che gli autori siano stati gli USA. Lo fa però una dovizia di particolari che rende la lettura integrale del testo particolarmente utile per capire la logica dell’imperialismo, demolendo la lettura propagandistica in voga di un confronto globale tra potenze di cui l’Ucraina è solo uno dei teatri di operazione.


Seymour Hersh, autore dell’articolo che segue, è nato nel 1937 a Chicago da madre polacca e padre lituano, nel 1970 ha vinto il Pulitzer per aver denunciato il massacro di My Lai durante la guerra nel Vietnam. In seguito ha scritto sullo scandalo Watergate, che portò alle dimissioni di Richard Nixon da presidente degli Stati Uniti, anche se i giornalisti più noti per le loro inchieste sul caso restano Carl Bernstein e Bob Woodward. Più di recente Hersh ha denunciato gli abusi delle truppe americane sui prigionieri di guerra di Abu Grahib, facendoli risalire a indicazioni provenienti dall’allora presidente Bush e ha firmato una ricostruzione della cattura di Osama bin Laden alternativa a quella ufficiale dell’amministrazione Obama. È la biografia di un uomo difficilmente accusabile di essere filorusso o, più semplicemente, pazzo.

Naturalmente, poiché la ricostruzione del sabotaggio al Nord Stream di Hersh, come del resto alcuni dei suoi più importanti scoop del passato, almeno finora, si basa sulla testimonianza di una fonte anonima (oltre che sulle minacce di Biden al cancelliere tedesco Olaf Scholz di cui ci eravamo già occupati in PuntoCritico041022) non può essere presa come oro colato. Anche se la risposta monosillabica della Casa Bianca e il silenzio di tomba della stampa non solo italiana ci sembrano testimoniare che l’amministrazione americana abbia giudicato più efficace tenere un basso profilo piuttosto che accusare il giornalista di diffondere fake news.

Resta il fatto che se la tesi di Hersh fosse vera ne dovremmo concluderne che:

1) la Casa Bianca stava pianificando l’operazione di sabotaggio di un’infrastruttura gestita da un’azienda al 51% russa, ma per il restante 49% di proprietà di due società tedesche, una olandese e una francese, già alla fine del 2021, vale a dire un anno e mezzo prima dell’invasione russa dell’Ucraina.

2) almeno altri due paesi-membri della NATO – Norvegia e Danimarca –  più la candidata Svezia (i cui aerei da ricognizione secondo Rivista Italiana Difesa partecipano alle operazioni di supporto all’esercito ucraino) erano al corrente dell’operazione. E il contributo norvegese potrebbe non essere stato disinteressato.

3) infine se la fonte di Hersh è come si presenta significa che negli apparati di sicurezza americani c’è chi è tutt’altro che entusiasta della politica Biden in Ucraina.


In che modo l’America ha rimosso il Nord Stream

Il New York Times lo ha definito un “mistero”, ma in realtà gli USA hanno messo in atto un’operazione subacquea sotto copertura tenuta segreta fino a oggi.

SEYMOUR HERSH, Substack, 8 febbraio 2023

Nord Stream

Il Diving and Salvage Center della Marina degli Stati Uniti si trova in un luogo oscuro quanto il suo nome, lungo quello che una volta era un viottolo di campagna nella zona rurale di Panama City, centro turistico oggi in piena espansione nella parte sud-occidentale del saliente della Florida, 70 miglia a sud del confine con l’Alabama. L’edificio è anonimo come il luogo in cui sorge: una grigia struttura in cemento armato del secondo dopoguerra che sembra una scuola professionale della zona occidentale di Chicago. Dall’altra parte di quella che oggi è una strada a quattro corsie si trovano una lavanderia a gettoni e una scuola di danza.

Da decenni il centro addestra sommozzatori altamente specializzati in missioni di alta quota, che, una volta assegnati alle unità delle forze armate americane in tutto il mondo, sono in grado di effettuare immersioni di alto livello tecnico a scopo di bene – utilizzando esplosivi C4 per liberare porti e spiagge da detriti e ordigni inesplosi – e di male, come far saltare in aria piattaforme petrolifere straniere, intasare le valvole di aspirazione di centrali elettriche sottomarine, distruggere le chiuse lungo canali cruciali per i trasporti  via acqua. Il centro di Panama City, che vanta la seconda piscina coperta più grande d’America, era il luogo perfetto per reclutare tra i migliori e più discreti diplomati della scuola di immersione coloro che l’estate scorsa hanno messo efficacemente in atto ciò che erano stati autorizzati a fare 80 metri sotto la superficie del Mar Baltico.

Secondo una fonte con una conoscenza diretta della pianificazione operativa lo scorso giugno i sommozzatori della Marina, operando sotto la copertura di un’esercitazione NATO di mezza estate ampiamente pubblicizzata, nota come BALTOPS 22, hanno piazzato gli esplosivi innescabili a distanza che tre mesi dopo hanno distrutto tre delle quattro condutture del Nord Stream.

Due di queste, note col nome collettivo di Nord Stream 1, fornivano alla Germania e a gran parte dell’Europa occidentale gas naturale russo a basso costo da oltre un decennio. Una seconda coppia di condutture, il Nord Stream 2, era stata costruita ma non era ancora operativa. Dunque, con le truppe russe che si ammassavano al confine con l’Ucraina e l’incombere della più sanguinosa guerra combattuta in Europa dal 1945, il presidente Joseph Biden ha visto i gasdotti come un mezzo con cui Vladimir Putin avrebbe potuto trasformare il gas naturale in un’arma al servizio delle sue ambizioni politiche e territoriali.

Alla richiesta di un commento, Adrienne Watson, portavoce della Casa Bianca, ha risposto via e-mail: “La notizia è falsa e completamente inventata”. Tammy Thorp, portavoce della CIA, ha scritto analogamente: “Questa affermazione è assolutamente e senza ombra di dubbio falsa”.

La decisione di Biden di sabotare il gasdotto è arrivata dopo più di nove mesi di discussioni in gran segreto negli apparati della sicurezza nazionale di Washington su come realizzare nel modo più efficace quell’obiettivo. Per gran parte di quel periodo l’oggetto della discussione non è stato se compiere o meno la missione, ma come portarla a termine senza lasciare alcun indizio evidente circa le responsabilità.

C’era una ragione formale decisiva per affidarsi ai diplomati della scuola di immersione di Panama City. I sommozzatori appartengono tutti alla Marina:  non sono membri delle Forze Speciali, le cui operazioni segrete devono essere comunicate al Congresso, informando in anticipo i vertici del Senato e della Camera, la cosiddetta Gang of Eight. Tra la fine del 2021 e i primi mesi del 2022, mentre era in atto la pianificazione operativa, l’Amministrazione Biden ha fatto tutto il possibile per evitare fughe di notizie.

Il Presidente Biden e il suo team di politica estera – il Consigliere per la Sicurezza Nazionale Jake Sullivan, il Segretario di Stato Tony Blinken e Victoria Nuland, Sottosegretaria di Stato per gli Affari Politici – avevano manifestato in modo esplicito e conseguente la propria ostilità ai due oleodotti, che si snodano uno accanto all’altro per 750 miglia sotto il Mar Baltico, partendo da due porti situati nel nord-est della Russia, vicino al confine con l’Estonia, e passano vicino all’isola danese di Bornholm prima di concludere il loro percorso nella Germania settentrionale.

Quel percorso diretto, che evita il transito in Ucraina, era stato una manna per l’economia tedesca, che grazie al gasdotto godeva di abbondanti forniture di gas naturale russo a basso costo – sufficiente per far funzionare le fabbriche e riscaldare le case e consentendo ai distributori tedeschi di vendere con profitto il surplus di gas in tutta l’Europa occidentale. Un’azione di sabotaggio riconducibile all’amministrazione americana avrebbe violato le promesse degli Stati Uniti di ridurre al minimo il conflitto diretto con la Russia. La segretezza era essenziale.

Nord Stream 1 è stato visto sin dall’inizio da Washington e dai suoi partner antirussi della NATO come una minaccia all’egemonia occidentale. La holding che lo gestisce, la Nord Stream AG, è stata costituita in Svizzera nel 2005 mediante una partnership con Gazprom, società russa quotata in borsa che produce enormi profitti per i suoi azionisti ed è dominata da oligarchi notoriamente soggetti a Putin. Gazprom controlla il 51% della società, mentre quattro aziende energetiche europee, una francese, una olandese e due tedesche, si dividono il restante 49% delle azioni e hanno diritto a esercitare il controllo sulle vendite del conveniente gas naturale ai distributori locali in Germania e in Europa occidentale. I profitti di Gazprom vengono spartiti col governo russo e, secondo le stime, in alcuni anni le entrate derivanti da gas e petrolio sono arrivate ad ammontare al 45% del budget russo.

I timori politici americani erano reali: Putin oggi avrebbe un’ulteriore fonte di reddito, di cui ha molto bisogno, mentre la Germania e il resto dell’Europa occidentale sarebbero diventati dipendenti dal gas naturale a basso costo fornito dalla Russia, riducendo al contempo la dipendenza europea dall’America. Ed è proprio ciò che è accaduto. Molti tedeschi vedevano il Nord Stream 1 come parte della realizzazione della famosa teoria della Ostpolitik dell’ex cancelliere Willy Brandt, che avrebbe permesso alla Germania del dopoguerra di riabilitare se stessa e le altre nazioni europee distrutte dalla Seconda Guerra Mondiale anche utilizzando il gas russo a basso costo per alimentare una florida economia di mercato in Europa occidentale.

Per la NATO e Washington il Nord Stream 1 era già abbastanza pericoloso, ma il Nord Stream 2, la cui costruzione è stata completata nel settembre del 2021, se approvato dalle autorità di regolamentazione tedesche, avrebbe raddoppiato la quantità di gas a basso costo a disposizione della Germania e dell’Europa occidentale. Il secondo gasdotto inoltre avrebbe fornito gas sufficiente a soddisfare oltre il 50% del consumo annuo tedesco. Insomma le tensioni tra Russia e NATO, alimentate dall’aggressiva politica estera dell’amministrazione Biden, erano in costante aumento.

L’opposizione al Nord Stream 2 esplose alla vigilia dell’insediamento di Biden, nel gennaio 2021, quando gli eletti repubblicani al Senato, guidati dal senatore del Texas Ted Cruz, sottolinearono ripetutamente la minaccia politica rappresentata dal gas naturale russo a basso costo durante l’audizione per la conferma di Blinken a Segretario di Stato. All’epoca un Senato compatto aveva approvato una legge che, come disse Cruz a Blinken, “ha fermato [il gasdotto] sul nascere”. Il governo tedesco, allora guidato da Angela Merkel, avrebbe esercitato enormi pressioni politiche ed economiche per rendere operativo il secondo gasdotto.

Biden avrebbe resistito ai tedeschi? Blinken rispose di sì, ma aggiunse di non aver discusso le opinioni del nuovo presidente nel dettaglio. “So che è fermamente convinto che il Nord Stream 2 sia una cattiva idea” dichiarò. “So che vorrebbe che usassimo tutti gli strumenti di persuasione a nostra disposizione per convincere i nostri amici e partner, compresa la Germania, a non andare avanti”.

Pochi mesi dopo, mentre la costruzione del secondo gasdotto si avvicinava al termine, Biden smentì Blinken. Nel maggio dello stesso anno con una incredibile giravolta l’amministrazione americana, infatti, rinunciò alle sanzioni contro Nord Stream AG, mentre un funzionario del Dipartimento di Stato ammise che cercare di fermare il gasdotto con le sanzioni e la diplomazia “era sempre stato un azzardo”. Dietro le quinte funzionari dell’amministrazione avrebbero esortato il presidente ucraino Volodymyr Zelensky, ormai alle prese con la minaccia di invasione russa, a non criticare quella mossa.

Le conseguenze furono immediate. I repubblicani al Senato, guidati da Cruz, annunciarono il blocco immediato di tutte le nomine di Biden relative a incarichi di politica estera e ritardarono l’approvazione della legge annuale sulla Difesa per mesi, fino all’autunno. In seguito Politico ha descritto il voltafaccia di Biden sul secondo gasdotto russo come “l’unica decisione, probabilmente più del caotico ritiro militare dall’Afghanistan, che ha messo a repentaglio l’agenda di Biden”.

L’amministrazione era in difficoltà, nonostante avesse ottenuto una tregua a metà novembre, quando le autorità di regolazione sull’energia tedesche congelarono l’approvazione del secondo gasdotto Nord Stream. I prezzi del gas naturale subirono un’impennata dell’8% nel giro di pochi giorni, mentre in Germania e in Europa crescevano i timori che la sospensione del processo autorizzativo del gasdotto e la crescente probabilità di una guerra tra Russia e Ucraina avrebbero portato a un assai indesiderabile inverno al freddo. A Washington non era chiara la posizione di Olaf Scholz, il cancelliere tedesco appena nominato. Mesi prima, dopo la caduta dell’Afghanistan, Scholtz, nel corso di un discorso tenuto a Praga aveva pubblicamente appoggiato l’appello del presidente francese Emmanuel Macron per una politica estera europea più autonoma, indicando apertamente la necessità di ridurre la dipendenza da Washington e dalle sue posizioni oscillanti.

In tutto quel periodo le truppe russe avevano continuato ad ammassarsi minacciosamente ai confini dell’Ucraina e a fine dicembre più di 100.000 soldati ormai erano in grado di colpire dalla Bielorussia e dalla Crimea. A Washington cresceva l’allarme, anche per una valutazione di Blinken secondo cui il numero di soldati russi sarebbe potuto “raddoppiare in tempi brevi”.

L’attenzione dell’amministrazione americana si concentrò nuovamente su Nord Stream. Washington temeva che finché l’Europa avesse continuato a dipendere dal gasdotto per ottenere gas naturale a basso costo paesi come la Germania avrebbero esitato a fornire all’Ucraina il denaro e le armi che le servivano per battere la Russia.

Fu in quel momento di incertezza che Biden autorizzò Jake Sullivan creare un gruppo che riuniva esponenti di diverse agenzie per elaborare un piano.

Sul tavolo bisognava mettere tutte le opzioni. Ma a emergere sarebbe stata una sola.

La pianificazione

Nel dicembre del 2021, due mesi prima che i primi carri armati russi entrassero in Ucraina, Jake Sullivan convocò una riunione di una neocostituita task force – uomini e donne dello Stato Maggiore, della CIA, dei Dipartimenti di Stato e del Tesoro – e chiese indicazioni su come rispondere all’imminente invasione di Putin.

Sarebbe stata la prima di una serie di riunioni top-secret, tenute in una stanza sicura all’ultimo piano dell’Old Executive Office Building adiacente alla Casa Bianca, che era anche la sede del President’s Foreign Intelligence Advisory Board (PFIAB). Ci furono i soliti scambi di pareri iniziali, che alla fine portarono a una cruciale domanda preliminare: la raccomandazione trasmessa dal gruppo al Presidente sarebbe stata di tipo reversibile – come un altro pacchetto di sanzioni e di restrizioni valutarie – o irreversibile – cioè azioni di forza i cui effetti non potevano essere cancellati?

Secondo una fonte dotata di conoscenza diretta del processo decisionale ciò che apparve chiaro ai partecipanti è che Sullivan intendeva che il gruppo elaborasse un piano per la distruzione dei due gasdotti Nord Stream e che stava realizzando i desideri del Presidente.

I protagonisti: da sinistra a destra: Victoria Nuland, Anthony Blinken e Jake Sullivan

Nel corso di parecchie successive riunioni i partecipanti discussero le diverse opzioni a disposizione per un attacco. La Marina propose di utilizzare un sottomarino appena varato per attaccare direttamente l’oleodotto. L’Aviazione parlò di sganciare bombe con spolette a scoppio ritardato innescabili a distanza. La CIA sosteneva che qualunque scelta venisse fatta avrebbe dovuto essere segreta. Tutte le persone coinvolte erano consapevoli della posta in gioco. “Non è un gioco da bambini” disse la nostra fonte. Se l’attacco fosse stato riconducibile agli Stati Uniti “sarebbe stato un atto di guerra”.

All’epoca la CIA era diretta da William Burns, un mite ex ambasciatore degli USA in Russia, che era stato vicesegretario di Stato nell’amministrazione Obama. Burns autorizzò rapidamente la formazione di un gruppo di lavoro dell’Agenzia i cui membri, scelti ad hoc, includevano, guarda caso, qualcuno che conosceva le capacità operative dei sommozzatori della Marina di Panama City. Nelle settimane seguenti i membri del gruppo di lavoro della CIA iniziarono a elaborare il piano di un’operazione segreta che avrebbe usato i sub per provocare un’esplosione lungo il gasdotto.

Qualcosa di simile era già stato fatto in passato. Nel 1971 la comunità dei servizi segreti americani apprese da fonti ancor oggi non divulgate che due importanti centri della Marina russa comunicavano mediante un cavo sottomarino interrato nei fondali del Mar di Okhotsk, prospiciente le coste dell’Estremo Oriente russo. Il cavo collegava un comando regionale della Marina al quartier generale continentale di Vladivostok.

In un luogo ignoto vicino a Washington fu riunito un gruppo di agenti della CIA e della NSA sotto copertura, selezionati a uno a uno, che elaborò un piano che contemplava l’uso di sommozzatori della Marina, sottomarini modificati e un veicolo di salvataggio subacqueo, che, dopo molti tentativi ed errori, riuscì a localizzare il cavo russo. I sommozzatori piazzarono sul cavo un sofisticato dispositivo di ascolto, che intercettò con successo il traffico russo, incidendolo su un nastro con un dispositivo di registrazione.

La NSA apprese che gli alti ufficiali della marina russa, certi della sicurezza dei loro collegamenti, chiacchieravano coi colleghi senza utilizzare la crittografia. Il dispositivo di registrazione e il nastro dovevano essere sostituiti mensilmente e il progetto andò avanti allegramente per un decennio, finché non fu affossato da un tecnico civile della NSA di quarantaquattro anni, Ronald Pelton, che parlava correntemente il russo. Pelton fu smascherato da un disertore russo nel 1985 e condannato al carcere. Per le sue rivelazioni su quell’operazione i russi lo avevano pagato solo 5.000 dollari, più 35.000 dollari per altri dati passati ai russi e mai resi pubblici.

Quell’operazione subacquea di successo, chiamata in codice Ivy Bells, fu innovativa e rischiosa e valse informazioni preziose sulle intenzioni e la pianificazione della Marina russa.

Tuttavia il gruppo interagenzie all’inizio era scettico sull’entusiasmo della CIA per la realizzazione di un attacco segreto a quelle profondità. C’erano troppe domande prive di risposta. Le acque del Baltico erano rigidamente pattugliate dalla marina russa e non c’erano piattaforme petrolifere da usare come copertura per un’operazione subacquea. Per addestrarsi alla missione i sommozzatori sarebbero dovuti andare in Estonia, poco oltre il confine vicino al quale c’erano le banchine su cui si caricava il gas russo? “Sarebbe una casino bestiale” fu la risposta data alla CIA.

Nel corso “dell’intera pianificazione”, racconta la nostra fonte, “alcuni funzionari della CIA e del Dipartimento di Stato dicevano: ‘Non fatelo. È stupido e politicamente sarà un incubo se viene fuori’”.

Tuttavia all’inizio del 2022 il gruppo di lavoro della CIA riferì al gruppo interagenzie di Sullivan: “Abbiamo un modo per far saltare gli oleodotti”.

Ciò che avvenne in seguito fu sbalorditivo. Il 7 febbraio, meno di tre settimane prima dell’apparentemente inevitabile invasione russa dell’Ucraina, Biden incontrò nel suo ufficio alla Casa Bianca il cancelliere tedesco Olaf Scholz che, dopo qualche tentennamento, ora era saldamente nella squadra americana. Durante la successiva conferenza stampa Biden affermò con tono di sfida: “Se la Russia invade… non ci sarà più un Nord Stream 2. Metteremo fine a questa situazione”.

Venti giorni prima il Sottosegretario Nuland aveva in sostanza trasmesso lo stesso messaggio in un briefing del Dipartimento di Stato, con scarsa copertura da parte della stampa. “Voglio essere molto chiara con voi oggi”, aveva detto rispondendo a una domanda. “Se la Russia invade l’Ucraina, in un modo o nell’altro Nord Stream 2 non andrà avanti”.

Molti dei partecipanti alla pianificazione della missione rimasero sconcertati da quelli che giudicarono riferimenti indiretti all’attacco.

“È stato come mettere una bomba atomica a terra a Tokyo e dire ai giapponesi che la faremo esplodere” ci ha detto la fonte. “Il piano prevedeva che le azioni fossero eseguite dopo l’invasione senza essere pubblicizzate. Biden semplicemente o non l’ha capito o l’ha ignorato”.

L’indiscrezione di Biden e della Nuland, se di questo si tratta, potrebbe essere stata frustrante per alcuni dei pianificatori. Ma aveva anche creato un’opportunità. Secondo la fonte alcuni alti funzionari della CIA decisero che far saltare il gasdotto “non poteva più essere considerata un’opzione segreta perché il Presidente aveva appena annunciato che sapevamo come farlo”.

Il piano per far esplodere Nord Stream 1 e 2 venne improvvisamente declassato da operazione sotto copertura, classificazione che impone di informare il Congresso, a operazione di intelligence rigidamente secretata col supporto militare degli Stati Uniti. In questo modo, ci spiega la fonte, per legge “non c’era più l’obbligo legale di riferire l’operazione al Congresso. Tutto ciò che dovevano fare ora era farlo e basta, ma doveva restare comunque un segreto. I russi, infatti, esercitano una sorveglianza eccezionale sul Baltico”.

I membri del gruppo di lavoro dell’Agenzia non avevano contatti diretti con la Casa Bianca e non vedevano l’ora di scoprire se il Presidente intendesse davvero dire ciò che aveva detto, cioè se la missione fosse ormai avviata. La fonte ricorda: “A un certo Bill Burns tornò e disse: ‘Fatelo’”.

L’operazione

La Norvegia era il luogo perfetto come base per la missione.

Negli ultimi anni di crisi Est-Ovest le forze armate statunitensi avevano ampliato notevolmente la loro presenza nel paese, il cui confine occidentale corre per 1.400 miglia lungo l’Oceano Atlantico settentrionale e sopra il Circolo Polare Artico viene a coincidere con quello russo. Il Pentagono ha creato posti di lavoro e contratti molto remunerativi, pur con qualche polemica locale, investendo centinaia di milioni di dollari per rinnovare ed espandere le strutture della Marina e dell’Aeronautica americane in Norvegia. Le nuove opere comprendevano, in particolare, un radar ad apertura sintetica [link del traduttore] avanzato, in grado di penetrare in profondità in Russia, entrato in funzione proprio quando gli apparati dell’intelligence americana persero l’accesso a una serie di stazioni di ascolto a lungo raggio situate in Cina.

Una base sottomarina americana ristrutturata di recente, dopo anni di lavori è diventata operativa e oggi più sottomarini americani sono in grado di lavorare a stretto contatto coi loro omologhi norvegesi per monitorare e spiare un’importante ridotta nucleare russa collocata 250 miglia a est, nella penisola di Kola. L’America ha anche ampliato notevolmente una base aerea norvegese nel nord del paese e consegnato alle forze aeree norvegesi una flotta di aerei da pattugliamento P8 Poseidon fabbricati dalla Boeing per rafforzare l’attività di spionaggio a lungo raggio di tutto ciò che riguarda la Russia.

In cambio il governo norvegese lo scorso novembre ha irritato i liberali e alcuni esponenti moderati nel suo Parlamento approvando l’Accordo di Cooperazione per la Difesa Integrativa (SDCA). In base al nuovo accordo in alcune “aree concordate” nella parte settentrionale del paese la giustizia americana avrà giurisdizione sui soldati americani accusati di crimini fuori dalla base, nonché sui cittadini norvegesi accusati o sospettati di interferire col lavoro della base.

La Norvegia è stata uno dei primi firmatari del Trattato istitutivo della NATO nel 1949, agli inizi della Guerra Fredda. Oggi il comandante supremo della NATO è Jens Stoltenberg, un convinto anticomunista, che prima di assumere l’alto incarico alla NATO col sostegno americano nel 2014 è stato primo ministro norvegese per otto anni. Un vero e proprio duro su qualunque argomento riguardasse Putin e la Russia, che aveva collaborato con gli apparati dell’intelligence americana fin dai tempi della guerra del Vietnam. Da allora ha goduto della fiducia più totale. “È il guanto che si adatta alla mano americana” ci ha detto la nostra fonte.

Tornati a Washington i pianificatori sapevano di dover far base Norvegia. “I norvegesi odiano i russi e la marina norvegese è piena di marinai e sommozzatori eccellenti, con generazioni di esperti nell’assai redditizia esplorazione di giacimenti di petrolio e di gas in acque profonde”, ci racconta la fonte. Inoltre si poteva contare su di loro per tenere la missione segreta. (I norvegesi probabilmente avevano anche altri interessi. La distruzione di Nord Stream, infatti, se gli americani fossero riusciti a portarla a termine, avrebbe permesso alla Norvegia di vendere molto più gas naturale all’Europa).

A marzo alcuni membri del team si recarono in Norvegia per incontrare i servizi segreti e la Marina norvegese. Una delle domande chiave era quale fosse esattamente il punto migliore del Baltico per piazzare gli ordigni. Nord Stream 1 e 2, ciascuno dotato di due serie di condotte per gran parte del tracciato, nel tratto in cui si dirigono verso il porto di Greifswald, nell’estremo nord-est della Germania, distano l’uno dall’altro di poco più di un miglio.

La marina norvegese è stata rapida a trovare il punto giusto, a poche miglia dall’isola danese di Bornholm, dove le acque del Mar Baltico sono poco profonde. In quell’area le condutture corrono a più di un miglio di distanza l’una dall’altra su un fondale profondo solo 80 metri. Si tratta di un’area facilmente raggiungibile dai sommozzatori che, operando da un cacciamine norvegese di classe Alta, si sarebbero immersi con le bombole cariche di una miscela di ossigeno, azoto ed elio e avrebbero piazzato cariche di C4 sagomate sulle quattro condutture dotate di coperture protettive in cemento. Sarebbe stato un lavoro noioso, lungo e pericoloso, ma le acque al largo di Bornholm presentavano un altro vantaggio: non c’erano grandi correnti, che avrebbero reso il compito di immergersi molto più difficile.

Dopo un po’ di approfondimenti gli americani accettarono.

A quel punto entrò di nuovo in gioco l’oscura squadra di sommozzatori della Marina di Panama City. La scuola di immersione ad alta quota, i cui allievi parteciparono a Ivy Bells, è vista come un indesiderato buco nero dall’élite dei diplomati all’Accademia Navale di Annapolis, che di solito vanno in cerca di gloria cercando di farsi assegnare una destinazione come Navy Seal, piloti di caccia o sommergibilisti. Se proprio uno deve diventare una “scarpa nera”, cioè essere assegnato al meno agognato comando di una nave di superficie, gli resta almeno la chance di ottenere piuttosto un incarico su un cacciatorpediniere, un incrociatore o una nave anfibia. La guerra delle mine, infatti, è la meno affascinante di tutte. I sommozzatori che se ne occupano non appaiono mai nei film di Hollywood o sulle copertine delle riviste popolari.

“I migliori sommozzatori esperti di immersioni ad alta quota sono una comunità ristretta, solo i migliori vennero reclutati per l’operazione. A questi fu detto di prepararsi a essere convocati dalla CIA a Washington” racconta la nostra fonte.

I norvegesi e gli americani avevano individuato il luogo in cui collocare gli ordigni e gli agenti incaricati di farlo, ma restava una preoccupazione: qualsiasi attività subacquea insolita nelle acque al largo di Bornholm avrebbe potuto attirare l’attenzione delle marine svedese o danese, che avrebbero potuto segnalarla. 

Anche la Danimarca era stata uno dei primi membri della NATO ed era nota nella comunità dei servizi segreti per i suoi speciali legami col Regno Unito. La Svezia aveva presentato domanda di adesione alla NATO e aveva dimostrato una grande abilità nel gestire i suoi sistemi di sensori sonori e magnetici sottomarini, che riescono a individuare con successo i sottomarini russi che di tanto in tanto compaiono nelle acque remote dell’arcipelago svedese e vengono costretti a salire in superficie.

I norvegesi trovarono d’accordo con gli americani e insistettero che bisognava informare alcuni alti funzionari in Danimarca e Svezia in termini generali sulle possibili attività sottomarine nell’area. In questo modo qualcuno più in alto sarebbe potuto intervenire e tenere relazioni al di fuori della catena di comando, mantenendo l’operazione del gasdotto in un isolamento protettivo. “Ciò che fu detto loro non coincideva, per una scelta deliberata, con ciò che sapevano” mi ha detto la fonte (l’ambasciata norvegese, a cui abbiamo chiesto un commento, non ha risposto).

I norvegesi sono stati fondamentali per superare anche altri ostacoli. Si sapeva che la marina russa disponeva di una tecnologia di sorveglianza in grado di individuare e innescare le mine sottomarine. Perciò gli ordigni americani dovevano essere camuffati così da apparire al sistema russo parte dell’ambiente naturale, cosa che richiedeva di adattarli alla specifica salinità dell’acqua. I norvegesi avevano una soluzione.

I norvegesi avevano la risposta anche a un’altra domanda cruciale: quando avrebbe dovuto aver luogo l’operazione? Ogni giugno, da 21 anni a questa parte, la Sesta Flotta americana, la cui nave ammiraglia è ormeggiata a Gaeta, in Italia, a sud di Roma, organizza una grande esercitazione NATO nel Baltico, che coinvolge decine di navi alleate in tutta la regione. La prossima esercitazione, che si sarebbe tenuta appunto a giugno, era stata chiamata Baltic Operations 22, o BALTOPS 22. I norvegesi suggerirono che fosse la copertura ideale per piazzare le mine.

Gli americani fornirono un tassello fondamentale: convinsero i pianificatori della Sesta Flotta ad aggiungere al programma un’esercitazione di ricerca e sviluppo. L’esercitazione, annunciò la Marina, avrebbe coinvolto la Sesta Flotta con la collaborazione dei “centri di ricerca e di guerra” della US Navy. L’evento si sarebbe svolto al largo dell’isola di Bornholm e avrebbe coinvolto squadre di sommozzatori della NATO che avrebbero piazzato le mine, mentre le squadre antagoniste avrebbero usato le più recenti tecnologie subacquee per individuarle e distruggerle.

Era al contempo un’utile esercitazione e una copertura ingegnosa. I ragazzi di Panama City avrebbero fatto il loro dovere e gli esplosivi C4 sarebbero stati posizionati entro la fine di BALTOPS22, con un timer di 48 ore. Americani e  norvegesi sarebbero spariti prima della prima esplosione.

Mancavano pochi giorni. “Il tempo scorreva e ci stavamo avvicinando al compimento della missione”, ci racconta la fonte.

Poi però Washington ebbe un ripensamento. Le bombe sarebbero state comunque piazzate durante BALTOPS, ma la Casa Bianca temeva che con una finestra di soli due giorni tra la posa e l’esplosione quest’ultima sarebbe avvenuta troppo vicino alla fine dell’esercitazione e avrebbe reso palese il coinvolgimento americano.

La Casa Bianca in alternativa avanzò una nuova richiesta: “I ragazzi incaricati dell’operazione possono escogitare un modo per far esplodere gli oleodotti più tardi, con un comando a distanza?”.

Alcuni membri del team di pianificazione erano irritati e frustrati per quella che appariva l’indecisione del Presidente. I sommozzatori di Panama City si erano ripetutamente esercitati a piazzare il C4 sulle condutture, come avrebbero fatto durante BALTOPS, ma ora la squadra in Norvegia doveva trovare un modo per dare a Biden quello che voleva: la possibilità di ordinare l’esecuzione della missione in un momento a sua scelta e che essa avesse successo. 

Essere incaricati di compiere un cambio di programma arbitrario all’ultimo minuto era una situazione che la CIA era abituata a gestire. Ma ciò alimentò nuovamente le preoccupazioni di alcuni circa la necessità e la legalità dell’intera operazione.

Gli ordini segreti del Presidente evocavano anche il dilemma della CIA ai tempi della guerra del Vietnam, quando Johnson, di fronte al crescente sentimento di contrarietà alla guerra, ordinò alla CIA di violare il suo statuto – che le impediva espressamente di operare all’interno dei confini americani – e di spiare i leader che vi si opponevano per appurare se fossero controllati dalla Russia comunista.

L’Agenzia alla fine acconsentì e nel corso degli anni Settanta divenne chiaro fino a che punto fosse disposta a spingersi. All’indomani dello scandalo Watergate i giornali rivelarono che l’Agenzia spiava cittadini americani, era coinvolta nell’assassinio di leader stranieri e aveva pregiudicato il governo socialista di Salvador Allende.

Queste rivelazioni a metà degli anni ‘70 portarono a una drammatica serie di audizioni al Senato, guidate dal senatore dell’Idaho Frank Church, che chiarirono che Richard Helms, allora direttore della CIA, soggiaceva all’obbligo realizzare i desiderata del presidente, anche se ciò significava violare la legge.

In una testimonianza inedita resa a porte chiuse Helms spiegò con amarezza che “si verifica qualcosa di simile a un’Immacolata Concezione quando si fa qualcosa” su ordine segreto di un presidente. “Che sia giusto o sbagliato farlo [la CIA] lavora secondo regole e principi di fondo diversi da quelli seguiti da qualsiasi altra istituzione di governo”. In sostanza stava dicendo ai senatori che lui, come capo della CIA, aveva capito di dover lavorare per la Corona e non per la Costituzione.

Gli americani all’opera in Norvegia operavano secondo la stessa dinamica e iniziarono come dovuto a lavorare per risolvere il nuovo problema: come far esplodere a distanza il C4 su ordine di Biden. Si trattava di un compito molto più impegnativo di quanto pensassero a Washington. Alla squadra in Norvegia non era dato sapere quando il presidente avrebbe premuto il pulsante. Sarebbe stato tra poche settimane, tra alcuni mesi o addirittura tra più di sei?

Il C4 collegato alle condutture sarebbe stato attivato da una boa sonar sganciata da un aereo con breve preavviso, ma la procedura richiedeva la più avanzata tecnologia di elaborazione dei segnali. Una volta posizionati i dispositivi di temporizzazione ritardata attaccati a uno qualsiasi dei quattro oleodotti avrebbero potuto essere accidentalmente innescati dalla complessa miscela di rumori marini di fondo che caratterizza tutto il Mar Baltico, uno specchio d’acqua assai trafficato: rumori provenienti da navi vicine e lontane, trivellazioni sottomarine, eventi sismici, onde e persino animali marini. Per evitarlo la boa sonar, una volta posizionata, avrebbe emesso una sequenza di suoni unici a bassa frequenza – simili a quelli prodotti da un flauto o da un pianoforte – tali da essere riconosciuti dal dispositivo di temporizzazione e che avrebbero innescato gli ordigni dopo un intervallo di tempo predeterminato. (“Ci vuole un segnale abbastanza robusto, in modo che nessun altro segnale possa inviare accidentalmente un impulso che faccia esplodere le mine”, mi ha spiegato il dottor Theodore Postol, professore emerito di scienza, tecnologia e politica di sicurezza nazionale al MIT. Postol, che è stato consulente scientifico del capo delle operazioni navali del Pentagono, ha detto che il problema che il gruppo in Norvegia ha dovuto affrontare a causa del rinvio di Biden è probabilistico: “Più a lungo gli esplosivi restano in acqua, maggiore è il rischio che un segnale casuale possa farli esplodere”).

Il 26 settembre 2022 un aereo di sorveglianza P8 della Marina norvegese effettuò un volo apparentemente di routine e sganciò una boa sonar. Il segnale si diffuse sott’acqua, inizialmente fino a Nord Stream 2 e poi fino a Nord Stream 1. Poche ore dopo, gli esplosivi C4 ad alta potenza furono innescati e tre dei quattro gasdotti messi fuori uso. Nel giro di pochi minuti è stato possibile vedere le pozze di gas metano rimaste nelle condutture spandersi sulla superficie dell’acqua e il mondo capì che era avvenuto qualcosa di irreversibile.

Le ricadute

All’indomani dell’attentato all’oleodotto i media americani ne parlarono come di un mistero insolubile. La Russia è stata ripetutamente citata come probabile colpevole, tesi alimentata da calcolate fughe di notizie provenienti dalla Casa Bianca, senza mai fornire una ragione comprensibile per tale atto di autosabotaggio che andasse oltre la semplice vendetta. Pochi mesi dopo, quando è emerso che le autorità russe si erano fatte fare riservatamente dei preventivi di spesa per la riparazione degli oleodotti, il New York Times ha presentato la notizia come tale da “rendere più intricate le teorie su chi sta dietro” l’attacco. Nessun grande giornale americano ha approfondito le minacce di Biden e dal sottosegretario di Stato Nuland ai gasdotti.

Anche se non è mai stato chiaro perché la Russia avrebbe cercato di distruggere il proprio remunerativo gasdotto una spiegazione più eloquente della decisione del Presidente è venuta dal Segretario di Stato Blinken.

Interrogato in una conferenza stampa dello scorso settembre sugli effetti dell’aggravarsi della crisi energetica in Europa occidentale, Blinken ha descritto la congiuntura come potenzialmente proficua:

“È un’opportunità straordinaria per eliminare una volta per tutte la dipendenza dall’energia russa e quindi per togliere a Vladimir Putin la possibilità di trasformare in arma l’energia per realizzare i suoi progetti imperiali. Questo aspetto è molto significativo e offre un’enorme opportunità strategica per gli anni a venire, ma nel frattempo siamo determinati a fare tutto il possibile per assicurarci che le conseguenze di tutto ciò non siano sopportate dai cittadini dei nostri paesi o, a dirla tutta, di tutto il mondo”.

Più di recente Victoria Nuland ha espresso soddisfazione per la scomparsa dell’ultimo dei due gasdotti. A fine gennaio, in occasione di un’audizione alla Commissione Esteri del Senato, ha dichiarato al senatore Ted Cruz: “Come lei sono molto soddisfatta e credo lo sia anche l’Amministrazione sapendo che Nord Stream 2 oggi è, come lei ama dire, un rottame metallico in fondo al mare”.

La mia fonte ha una visione molto più prosaica della decisione di Biden di sabotare più di 1.500 miglia del gasdotto di Gazprom alla vigilia dell’inverno. “Beh”, ha detto, parlando del Presidente, “devo ammettere che il ragazzo ha le palle.  Ha detto che l’avrebbe fatto e in effetti lo ha fatto”.

Quando gli ho chiesto perché secondo lui i russi non hanno reagito ha risposto con cinismo: “Forse vogliono riservarsi la facoltà di fare come gli americani”.

“È stato un bell’esempio di dissimulazione”, ha proseguito. “Dietro c’era un’operazione segreta con la presenza di esperti sul campo e di apparecchiature che hanno operato grazie a un segnale anch’esso mascherato”.

“L’unico neo è stato decidere di farlo” ha concluso.

 

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