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Caso Toti, è il cestino che è marcio

Si può raccontare come l’ennesimo episodio di corruzione di politici, funzionari e padroni “mele marce” o andare oltre le azioni dei singoli, alla radice: un sistema sociale ipocrita, che celebra il mercato, la competizione sfrenata, il “meno Stato”, che un giorno l’anno si accorge degli effetti e grida allo scandalo, il giorno dopo si interroga e il giorno successivo business as usual.

MARCO VERUGGIO, 13 maggio 2024

Capitalisti

In una città come Genova, a vocazione industriale e portuale, ma in cui l’industria è ancora in larga misura di Stato (Leonardo, Fincantieri), in parte transitata nelle mani di grandi gruppi asiatici privi di radici nel territorio (Ansaldo Energia, Esaote, ILVA), i capitalisti per eccellenza sono terminalisti, armatori, spedizionieri – Costa, Messina, Spinelli, Negri, Cosulich, Aponte, Scerni, Gavio, per citare solo alcuni nomi – famiglie che da decenni, talora da oltre un secolo, si spartiscono banchine, piazzali, concessioni demaniali (più di mille) e profitti di uno scalo che contribuisce per 10 miliardi di euro al PIL (3,7 miliardi il gettito IVA sulle importazioni) e nel 2022 ha fatto oltre 66 milioni di tonnellate di traffico merci (2,8 milioni di TEU, l’unità di misura pari a un contenitore di 20 piedi, cioè 6,5×2,5×2,5 metri) e 4,2 milioni di passeggeri, occupando 33.000 addetti diretti, 77.000 indiretti e un indotto di 120.000 a livello nazionale.

Attorno al porto poi fioriscono altri affari che si incrociano e spesso si sovrappongono a quelli delle imprese portuali. I Gavio, ad esempio, oltre al terminal San Giorgio, sono il primo concessionario autostradale nel nordovest (1.400 chilometri, tra cui, in Liguria, la Sestri Levante-Livorno e la Savona-Ventimiglia), oltre a numerose ditte di autotrasporto (3.000 mezzi e 1.500 addetti), il retroporto di Rivalta Scrivia (in società con la MSC di Aponte), per citare solo alcune attività vicine allo scalo ligure. Gli Spinelli, protagonisti dell’inchiesta, oltre a gestire due terminal, sono autotrasportatori (oltre mille mezzi), venditori e noleggiatori di container (5.000 unità) e altro ancora. E dal 1985 proprietari del Genoa, che nel 1997 cedono agli Scerni, spedizionieri.

Per chi produce materialmente tutta questa ricchezza, i lavoratori portuali, le condizioni invece peggiorano di anno in anno, mentre il residuo controllo esercitato sull’organizzazione del lavoro portuale dai mille camalli della CULMV, la Compagnia Unica Lavoratori Merci Varie, unico argine al dilagare di forza-lavoro a basso costo, è da tempo nel mirino. “Il rizzaggio adesso coi portuali ti costa non il doppio, ma il triplo… non c’hai concorrenza” si lamenta in un’intercettazione Aldo Spinelli, che alla vigilia delle elezioni per il rinnovo del gruppo dirigente, auspica la rottura tra quella che considera l’ “ala politica” e quella “imprenditoriale” in seno alla Compagnia : “Non sarebbe male se venissero fuori due compagnie […] Che si facciano concorrenza, hai capito? Se ci fosse un gruppo di portuali che vogliono lavorare a cottimo, diciamo, cioè col rischio di impresa”.

Tra i terminal gestiti da Spinelli, ci sono le Rinfuse, merci fuori container – carbone, sale, sabbia, cemento ecc. – di cui nel 2021 Aldo Spinelli chiede il rinnovo della concessione prima per 40 poi per 30 anni, mettendo sotto pressione Toti e l’allora presidente dell’Autorità portuale Signorini. Alcuni membri del comitato portuale si oppongono a una proroga così lunga, tra cui l’ex presidente dell’autorità portuale di Savona Canavese, legato ai Gavio, l’unico a resistere fino alla fine alle pressioni e a votare contro. Due le motivazioni di chi si oppone: Spinelli vuole una concessione lunga per far lievitare il valore della sua quota di controllo del 55%, di cui nel frattempo sta trattando la parziale cessione con Aponte (socio di Rinfuse al 45%) e coi tedeschi di Hapag-Lloyd, che l’avranno l’anno dopo; la concessione trentennale contraddice l’investimento di 1,3 miliardi di euro (PNC e PNRR) per la nuova diga foranea, che permetterà l’arrivo delle portacontainer da 450 metri e dunque rappresenta una scommessa sui contenitori (come del resto Spinelli sa bene).

Non basta. Spinelli (foto sotto) vuole anche il carbonile che serviva la vecchia centrale ENEL, chiusa nel 2016, e il tombamento dello specchio d’acqua antistante. E siccome ha fame di spazi occupa l’area, la asfalta e ci costruisce i binari ferroviari, tutto senza autorizzazioni. “Ho fatto una belinata”, dirà al reponsabile ENEL, per giustificarsi (dopo aver rivendicato l’iniziativa decine di volte).

Politici e funzionari

Ex giornalista Mediaset, toscano, Toti nel 2015 viene paracadutato in una regione che non conosce (celebre la gaffe su Novi Ligure, che secondo lui si trova in Liguria). Alle regionali batte Raffaella Paita, oggi coordinatrice nazionale di Italia Viva, all’epoca reduce dalla vittoria sull’ex segretario della CGIL Cofferati alle primarie PD, candidata del governatore uscente Claudio Burlando, a lungo dominus del PD ligure, in quegli anni renziano più per opportunità che per convinzione.

Figlio di un camallo, ex ingegnere della Elsag, gioiellino IRI dell’automazione, Burlando a partire dagli anni ‘80 è più volte consigliere e assessore comunale, PCI e poi PDS, e nei primi anni ‘90 vicesindaco e poi sindaco di una maggioranza PDS-PSI-PSDI con l’appoggio esterno dei repubblicani, che in piena Tangentopoli è travolta dagli scandali legati alle Colombiadi del 1992 (una torta da oltre mille miliardi di lire), costringendo prima il sindaco socialdemocratico Merlo, poi lo stesso Burlando, subentratogli, a dimettersi. Burlando viene arrestato (insieme all’ex architetto delle cooperative “rosse” e assessore Grattarola) per abuso d’ufficio e truffa aggravata in relazione a due opere pubbliche, il parcheggio di Piazza della Vittoria e il sottopasso di Caricamento, quest’ultimo inserito nel progetto di Renzo Piano per la riqualificazione dell’ex area portuale dell’Expo. Alla fine viene prosciolto e addirittura risarcito per l’ingiusta carcerazione con una sentenza che Wanda Valli, su Repubblica, commenta così:

Claudio Burlando, 40 anni, ex sindaco Pds di Genova, finito in carcere due anni fa, è stato assolto ieri nel primo processo di Tangentopoli del capoluogo ligure, dall’accusa di abuso di atti di ufficio motivato dall’ambizione politica. Il fatto non costituisce reato, ha sentenziato il giudice Anna Ivaldi. Dunque, Claudio Burlando è stato un amministratore in buona fede. Ma se anche avesse sbagliato, non è un reato, il suo, di cui debba occuparsi la giustizia penale. Era una delle tesi, presentata in aula da Gian Maria Flick, giurista e difensore dell’ex sindaco. Una tesi che va al di là di questo processo, è basata sul limite tra illecito penale e illecito amministrativo. Una tesi che, secondo Flick, può indicare una strada per uscire da Tangentopoli. Senza colpi di spugna. Perché chi amministra e prende tangenti o chi le paga – è il caso di quasi tutti gli altri imputati nello stesso processo – non rientra in questa possibilità. Così la Corte condanna Andrea e Emmanuele Romanengo, imprenditori, che hanno finanziato in nero Dc e Psi rispettivamente a 4 e 2 mesi e Giovanni Bagnara, ex assessore Dc, che ha ammesso di aver intascato mazzette, a 3 anni e 8 mesi.

La tesi di Flick, futuro ministro nel Prodi 1 insieme a Burlando, è che la giustizia penale non deve preoccuparsi se un politico favorisce un’impresa privata a danno del pubblico, ma solo se prende mazzette. E siccome Burlando e il PDS, a differenza degli alleati socialisti e degli oppositori democristiani, soldi non ne hanno presi, vanno assolti. Burlando e Grattarola, spiega la sentenza di assoluzione, non sono corrotti: semplicemente si presentano agli incontri con le imprese aggiudicatarie – Romanengo e Ansaldo – senza conoscere la materia. Il sottopasso costerà un fracco di miliardi più del dovuto e non sarà ultimato in tempo (il cantiere riaprirà dopo le Colombiadi). Ma l’intervento dei giudici fa di Burlando e Grattarola – dalla polvere all’altar – due martiri.

Da Burlando Toti eredita le vecchie clientele, aggiungendovi, naturalmente, farina del suo sacco (come Esselunga). Spinelli, compagno di partite a scopone scientifico con Burlando al ristorante Europa di Galleria Mazzini, a due passi da De Ferrari (sede della Regione), insieme all’ex azionista di maggioranza di Banca Carige Malacalza e ad altri maggiorenti locali, è anche sostenitore dell’associazione dell’ex ministro, Maestrale, insieme, tra gli altri, al terminalista Negri, allo spedizioniere Lazzeri, che Burlando piazza allo Stabile di Genova e a Savina Scerni, moglie di Gianni (a cui Spinelli ha venduto il Genoa) e socia del Politeama, il che spiega l’adesione di molti nomi noti del teatro, da Moni Ovadia a Mariangela Melato, oltre a Maurizio Crozza, a cui oggi l’architetto Grattarola scrive i testi. E quando nasce l’associazione di Burlando apre le sue porte anche ai consoli delle due compagnie dei lavoratori portuali (CULMV e Pietro Chiesa) Batini e Bianchi.

Maestrale è anche la camera di compensazione di un capitalismo ligure chiuso, conservatore, speculare a quello milanese, di cui Genova si sente sorella povera: imprenditori milionari che si comportano come i padroncini di Govi, usano politici e autorità portuale per farsi la guerra, ma poi, visto che si conoscono da mezzo secolo, si telefonano e alla fine trovano un compromesso. E anche quando c’è da regolare i conti coi camalli mandano avanti qualcun altro: negli anni ’80 fu l’ex presidente del Consorzio Autonomo del Porto D’Alessandro, vent’anni dopo la sindaca PD Vincenzi.

All’autorità portuale di Genova, Savona e Vado Ligure, diretta dal marito della candidata PD sconfitta Paita ed ex assessore ai trasporti di Burlando, Luigi Merlo, Toti piazza Signorini. Nelle intercettazioni Spinelli accusa Merlo di aver favorito la MSC di Aponte durante i suoi sette anni in porto, ma con Signorini Aponte ottiene la concessione per 33 anni di calata Bettolo, affidatagli dal predecessore di Merlo, Novi, per questo finito sotto processo (e assolto). In ogni caso Aponte deve stimare Merlo, visto che dopo la sua sostituzione con Signorini lo arruola come responsabile delle relazioni istituzionali di MSC, assunzione oggetto di un’altra inchiesta inconcludente, stavolta dell’ANAC, e simile a quella che Spinelli promette a Signorini: “Ti metto in un ufficio a Roma con uno stipendio da 300.000 euro l’anno”. Non ce ne sarà bisogno, perché il sindaco Bucci lo nominerà ad di IREN, la multiutility di Genova, Torino, Piacenza, Parma e Reggio Emilia.

O Franza o Spagna purché se magna. Spinelli lo dice apertamente: “Io finanzio tutti i partiti che me lo chiedono”. E a un certo punto, indispettito per le lungaggini di Toti e Signorini, organizza una rimpatriata sul suo yacht con Burlando (per un “consiglio” spiega l’ex ministro), facendo irritare Toti. Il quale è anche lui un “pragmatico”: il suo uomo Signorini piazza come presidente dell’Ente Bacini Mauro Vianello, uno degli arrestati, titolare di un’impresa che fa affari in porto, in cui ha assunto tre dirigenti del PD (tra cui il segretario provinciale Simone D’Angelo), come ad dello stesso Ente Bacini Alessandro Terrile, ex segretario provinciale del PD e avvocato dello studio Flick e nel cda dell’aeroporto di Genova Mario Tullo, ex segretario regionale e deputato PD. Nel 2022 Signorini propone Vianello a un uomo di Aponte come ad di Stazioni Marittime. Dice che è “molto gradito a Giovanni” dato che “il PD genovese ormai è governato da lui”. Non la spunta. Però Vianello, oltre all’Ente Bacini, ottiene la presidenza di GEAM, la società per la gestione dei rifiuti portuali al 51% di AMIU (comune di Genova) e al 49% dell’Autorità Portuale. Insomma Toti oltre che con gli imprenditori amici di Burlando, ormai marginale, coltiva i rapporti con la filiera PD che da Andrea Orlando, spezzino, deputato e più volte ministro, arriva direttamente a Elly Schlein.

Intanto anche un’impresa di area centrodestra, Esselunga, si fa strada: con Toti riesce a mettere piede sul suolo ligure, infrangendo il veto da sempre oppostole dagli eredi del PCI, veto che siamo certi non essere dipeso dai passati finanziamenti elettorali delle coop al centrosinistra.

La criminalità (e il sindacalista)

Un altro capitolo dell’inchiesta riguarda centinaia di preferenze rastrellate dalla comunità riesina a Genova (sua roccaforte la delegazione di Certosa in Valpolcevera) a beneficio di tre candidati della Lista Toti alle regionali del 2020 – l’ex poliziotto Stefano Anzalone, la giornalista e assessora Ilaria Cavo e Lilli Lauro, consigliera comunale, ex dipendente di un’agenzia marittima – con la fattiva collaborazione di personaggi legati alla mafia siciliana. È la stessa comunità che nel 2015, alle primarie indette per scegliere l’avversario di Toti, era intervenuta a sostegno della candidata di Burlando, Raffaella Paita e, secondo il rivale Cofferati, minacciato di morte un suo sostenitore.

In cambio i capi della comunità riesina al nord, arrivati dalla Lombardia per organizzare alcune cene elettorali, chiedono cinque assunzioni, o in porto o in una ditta d’appalto di IREN, promessa disattesa sia da Anzalone che dalla longa manu di Toti, Matteo Cozzani, che tuttavia non subiscono ritorsioni. Anzi, alle comunali i riesini tornano alla carica per far eleggere alcuni di loro in consiglio. Che dire? Non c’è più la mafia di una volta.

Tra i capi riesini figura Venanzio Maurici, ex segretario generale della FILLEA CGIL e, all’epoca dei fatti, della Lega SPI CGIL Medio Ponente. La CGIL, che dopo l’arresto ha sospeso Maurici, già in passato aveva preso le distanze quando il sindacalista aveva difeso i Mamone, re degli appalti genovesi nelle costruzioni e nel movimento terra, legati alla ndrangheta. Due di loro, ad esempio, vengono condannati per aver pagato cene ed escort a dirigenti di AMIU, azienda dei rifiuti del comune di Genova, in cambio di appalti. In un’intercettazione Maurici parla col capostipite dei Mamone: “ma tu ti rendi conto che io facevo il segretario dell’edilizia, non mi dovevano parlare dell’impresa Mamone […] chi veniva a denunciare… buttavo fuori, buttavo dalla finestra… come sentivo Mamone… vai alla CISL, vai alla UIL, oppure lo chiamavo, Gì, se c’è da aggiustare qualcosa…”.

L’ “informazione”

Ilaria Cavo, ex giornalista di Primocanale, chiamata da Vespa a “Porta a Porta” e approdata a Tgcom24, torna in Liguria nel 2015 come assessora di Toti. Ha il sostegno dei riesini, che vogliono ingraziarsi il governatore, ma alla comunità sta antipatica e non va alle cene elettorali. Il suo ex editore, l’ex senatore montiano Maurizio Rossi, padrone di Primocanale, nel 2022 si accorda con Esselunga e Toti per fare campagna elettorale al sindaco uscente Bucci coi soldi versati da Esselunga alla sua emittente per una finta campagna pubblicitaria. E arruola la compagna di Signorini come conduttrice della trasmissione “Belin, che calcio”.

Giorgio Carozzi, esperto di shipping del Secolo XIX e del MediTelegraph, il portale di news marittime del quotidiano, nel 2021 viene messo da Bucci nel comitato di gestione dell’Autorità portuale, si oppone fino all’ultimo alla concessione trentennale del Rinfuse a Spinelli e alla fine vota a favore.

Il giornalista del Secolo XIX Simone Gallotti in un’intercettazione parla con Spinelli di un’intervista che gli ha fatto e che ha irritato Signorini. Spinelli gli chiede di fare un altro articolo per rimediare: “Ma mettila magari, invece, fai un articolo, mettila bene su Signorini”. Il giornalista si limita a rispondergli: “Ma lascialo stare, ma che cazzo te ne frega”. E quando Spinelli gli chiede se al Secolo sono contenti dell’intervista: “Eran tutti contenti, erano, no no… hai fatto lo show, sei stato bravissimo”. “E il direttore del Secolo cosa ha detto?” insiste Spinelli. “Belin, contentissimo, contentissimo, no eran tutti contenti. Ha detto: ‘eh ma che mondo vivace che è quello dei porti, grande personaggio, Aldo, grande personaggio. No no, ma su quello sei stato un grande”. E poi: “Ho Spinelli al telefono. Vuoi parlargli? Ho Aldo al telefono. Aspetta che sono col presidente Toti, aspetta che te lo passo”. Si inserisce Toti ridendo: “Cosa fai col Secolo, Aldo?” Forse se l’è chiesto anche Aponte che cosa faceva Spinelli col Secolo e infatti due mesi fa se l’è comprato. 

La magistratura

L’elenco delle inchieste e dei processi sulla gestione del Porto di Genova è senza fine, perlopiù i giudici accusano politici e presidenti dell’Autorità portuale di fare da sensali tra i padroni del porto e i padroni del porto di comportarsi da padroni del porto. Fatti noti e stranoti improvvisamente diventano oggetto di indagini che perlopiù non approdano a nulla. La sensazione è che con l’arrivo dei grandi player internazionali, come il gigante statale cinese Cosco, la Singapore Port Authority, Maersk, Hapag-Lloyd, il vecchio capitalismo familiare alla Spinelli sia percepito come un ostacolo allo sviluppo. Ma chi lo pensa non ha un’alternativa praticabile. Tant’è che persino il Partito Comunista Cinese ha capito che a Genova a Cosco conveniva allearsi coi Fratelli Cosulich.

Certo, con personaggi come Signorini, che si fa aiutare da Spinelli a pagare il matrimonio della figlia, e Toti, che chiama i funzionari dallo yacht dell’Aldo perché aggiustino le pratiche e subito dopo la tesoriera del suo comitato elettorale annunciandole l’arrivo del bonifico, i giudici possono giocare un ruolo. Con altri un po’ più accorti, che magari versano i contributi elettorali e aspettano che politici e funzionari capiscano da sé l’antifona e agiscano di conseguenza, non ne avrebbero alcuno. Insomma si potrebbero fare le stesse cose con più accortezza, legalmente, e far andare avanti tutto come sempre. Come spiegò Flick, uno che se ne intende, trent’anni fa. Inchieste giudiziarie e campagne giornalistiche a qualcosa, però, servono: evocano il mito catartico delle mele marce. Ma è tutto il cestino che è marcio.

Del resto quando i camalli avevano la cosiddetta “riserva esclusiva” sul lavoro in banchina e il porto era pubblico imprenditori, politici e stampa li dipingevano come la “rovina di Genova”, spianando la strada alla gestione oligarchica degli imprenditori portuali, salvo poi recriminare se questi il potere ottenuto grazie a loro lo usano per fare affari e se chi glielo ha regalato, la politica, va in pellegrinaggio sui loro yacht, chiede sostegno elettorale e ha un atteggiamento “troppo confidenziale”. La sostituzione dei capitalisti alla Spinelli con le grandi società internazionali, alla lunga inevitabile, renderà forse il porto più efficiente, ma non ne cancellerà la struttura oligarchica, soprattutto nell’attuale quadro geopolitico.

Come scrive Emiliano Brancaccio ne Le condizioni economiche della pacenel vento inarrestabile della centralizzazione del capitale in sempre meno mani, anche il potere statuale si mischia a quello strettamente economico, e così diventa anch’esso oggetto di concentrazione capitalistica. La spiacevole conseguenza è che, anche attraverso questi meccanismi minori, lo stato moderno, che pur preserva i tratti formali della democrazia liberale, tende di fatto a scivolare nuovamente nel vecchio ruolo ottocentesco di ‘comitato d’affari’ della classe dominante. E per questa via rischia sempre più di assumere i tratti dello strumento di pura guerra, economica e militare.”

La corruzione è una variabile del problema di fondo, da tempo relegato nello sgabuzzino delle anticaglie, ma mai così attuale: il funzionamento del comitato d’affari della classe dominante, lo Stato borghese si sarebbe detto una volta (e sarebbe il caso di tornare a chiamarlo così, visto che quello è). Problema che ha un’unica soluzione: la lotta di classe. Per ricordarcelo la stessa magistratura che sei giorni fa ha disposto l’arresto di Toti, Spinelli&c oggi condanna a pene tra 8 e 14 mesi cinque operai, tra cui il coordinatore della RSU di Ansaldo Energia, della FIOM, per aver manifestato a difesa di tremila posti di lavoro.

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