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CASA A un mese dalla riunione del Social Forum dell’Abitare a Genova Marco Veruggio ha chiesto di fare il punto sull’emergenza casa a chi è impegnato sul campo – sindacati e comitati inquilini, movimenti per la casa, associazioni e ricercatori. Quali sono i soggetti che intervengono nel vuoto lasciato dallo Stato e delle amministrazioni locali? Con quale strategia si muovono e come risponde chi invece rappresenta gli inquilini per far fronte all’emergenza abitativa? Caterina Maggi affronta lo stesso problema dal punto di vista degli studenti: quanto costa una stanza in una grande città universitaria? I nuovi studentati universitari finanziati dai soldi del PNRR in una strana commistione pubblico-privato sono davvero la soluzione?


Turismo e finanza all’assalto delle città

In città trasformate in eventifici, con interi quartieri in mano a piattaforme, finanza e immobiliari, per lavoratori dipendenti, giovani, immigrati trovare casa ormai è un miraggio, gli sfratti crescono, la politica latita. C’è una via d’uscita e quale? Lo chiediamo ai protagonisti del Social Forum dell’Abitare, nato l’anno scorso a Bologna e reduce dalla riunione di Genova.

MARCO VERUGGIO, 9 dicembre 2024

In Europa la questione abitativa torna all’ordine del giorno sull’onda di processi internazionali di finanziarizzazione, di trasformazione della casa da bene di prima necessità (e diritto) a merce e di riorganizzazione degli spazi urbani e della loro geografia sociale, in particolare nelle grandi città, spesso ostaggio della speculazione e dell’overtourism. E l’Italia non fa eccezione.

Il mito del “tutti proprietari”

“La narrazione per cui in Italia siamo tutti proprietari e quindi stiamo bene è illusoria” – osserva Agostino Petrillo, sociologo, docente al Politecnico di Milano e autore di numerosi saggi sull’argomento – “In realtà i paesi ricchi dell’Europa centro-settentrionale sono paesi di affitto. Italia, Spagna, Grecia hanno scelto una politica di proprietà, ma l’hanno pagata a caro prezzo: con la crisi del 2008, infatti, in molti non sono riusciti a pagare le rate e le loro case sono rimaste alle banche. In più la proprietà ostacola la mobilità lavorativa”.

E così in Italia la quota di case di proprietà è scesa dal 78%-79% a poco sopra il 70% e col dilagare degli affitti a breve termine trovare un affitto accessibile per lavoratori dipendenti, giovani, donne, immigrati, ma anche settori crescenti del cosiddetto ceto medio, è diventato un’impresa. A Roma tra il 2022 e il 2023 il pendolarismo è cresciuto del 4,8% (+17.000 unità), mentre la carenza di servizi, in particolare il collasso dei trasporti, sospinge nuovamente verso il centro fasce di lavoro autonomo e impiegatizio di fascia medio-alta, che in precedenza erano fuggiti dalla città. Insomma chi potrebbe lavorare a casa da remoto” torna a Roma, mentre camerieri, commessi e addetti alle pulizie impiegati in esercizi commerciali e servizi in centro vengono spinti verso la periferia e l’hinterland. Altro che città dei 15 minuti.

A ciò contribuisce anche il fatto che la politica “tutti proprietari” ha avuto come corollario lo stop alla costruzione di case popolari. Oggi il patrimonio residenziale pubblico è largamente insufficiente a soddisfare la domanda (700.000 richieste) anche a causa dei 70.000 appartamenti vuoti perché non a norma. Il Covid ha amplificato il problema e il governo Meloni ci ha messo del suo azzerando i fondi per il sostegno all’affitto e alla morosità incolpevole e intervenendo blandamente sulla regolazione degli affitti brevi. Risultato: i senza tetto sono 100.000 (il 23% a Roma) e nel 2023 gli sfratti sono stati 60 al giorno, di cui l’80% per morosità, spesso incolpevole, con altre 75.000 procedure pendenti che non risparmiano nessuno. A Genova il SUNIA, gli inquilini della CGIL, ha bloccato lo sfratto di una novantenne gravemente malata e invalida al 100%, mentre a Roma per fermare gli ufficiali giudiziari in casi analoghi è dovuto intervenire addirittura l’Alto Commissario per i Diritti Umani dell’ONU, chiamato dal sindacato inquilini ASIA USB.

Le mani sulla città

Il vuoto lasciato dal pubblico è stato occupato rapidamente dai grandi gruppi immobiliari nazionali e internazionali. Gli investitori sono di due tipi – ci spiega ancora Petrillo. Da una parte grandi capitali internazionali che comprano immobili perché è più conveniente che investire in una Borsa troppo volatile. “È come mettere delle fiches sul tavolo da roulette delle cosiddette città globali, con la certezza che di qui a 10 anni quelle fiches potranno essere cambiate con un’elevata probabilità di guadagno e comunque senza perderci”. Immobili che spesso restano sfitti: “A Londra Amazon e le piattaforme di food delivery, ad esempio, hanno comprato alcune torri di nuova edificazione ed edifici di pregio nel centro e li tengono vuoti”.

Poi ci sono le grandi società immobiliari internazionali, che invece comprano edifici da mettere subito a valore subito: Roma, Madrid, ancora Londra, Santiago del Cile, città su cui non gravano minacce di instabilità. “Ma accanto operano anche i grandi fondi d’investimento, inclusi i fondi sovrani, che a Milano hanno comprato intere zone del centro e del complesso City Life, contribuendo all’impennata dei valori immobiliari” aggiunge Petrillo.

Il capoluogo lombardo, dove ormai il rapporto tra domanda e offerta è tre a uno, in Italia è l’esempio più clamoroso del fenomeno: una “città forgiata dal greenwashing-socialwashing a beneficio della speculazione finanziaria-immobiliare” ha scritto Salvatore Palidda su ArcipelagoMilano recensendo un libro di Lucia Tozzi dal titolo evocativo, L’invenzione di Milano. Una politica sfociata di recente nel contestato “Salva Milano”, di fatto una sanatoria per chi utilizza le procedure più rapide e meno onerose previste per le ristrutturazioni ma in realtà costruisce ex novo. “A Milano va in scena il funerale dell’urbanistica italiana” ha titolato ancora Petrillo in un articolo pubblicato a fine novembre su Terzogiornale, in cui, a proposito del decreto, parla di “autocannibalismo, che trova nel mattone e nella finanziarizzazione della rendita una delle ultime maniere di estrarre valore dalle città, dopo la fine della grande industria, e nell’assenza di produzioni che contino nei settori di punta e nelle tecnologie avanzate”.

Se Milano sta diventando un eventificio – l’immaginifica amministrazione Sala s’è inventata persino la Milano Gelato Week – Roma vive la vigilia di un evento che va in scena da 700 anni, il Giubileo, e che sta già acuendo le tensioni abitative pregresse, tanto che Vaticano, Comune, Regione Lazio e Prefettura hanno chiesto al Governo di sospendere gli sfratti per tutto il 2025. Per Fabrizio Nizi, di Action Spin Time Labs “I dati raccolti dai nostri sportelli nei municipi, incrociati con quelli dei sindacati inquilini ci dicono che se il boom degli affitti brevi già da tempo rendeva proibitivo trovare case in affitto, quest’anno assistiamo al tracollo dell’offerta e a un picco di sfratti, non per morosità, ma per finita locazione. Senza contare gli sfratti a inquilini con contratti non registrati a cui il proprietario intima di andarsene senza neanche doverli sfrattare. Così i prezzi continuano a crescere, soprattutto in aree del centro collocate lungo le fermate della metro, ma il fenomeno si sta allargando persino a quartieri della media periferia come Pietralata”.

Secondo il SUNIA di Roma e Lazio dal 2019 sono scomparsi dai registri dell’Agenzia delle Entrate oltre 7.000 locazioni a lungo termine, gli sfratti per finita locazione sono aumentati del 20% ed è presumibile che il grosso sia stato riconvertito a uso dei pellegrini e dei turisti. E le istituzioni? “Cercano di gettare acqua sul fuoco, dicendo che il Giubileo finirà e le cose torneranno come prima”, commenta Nizi, “Ma, una volta scomparsi dal novero degli affitti lunghi, quegli appartamenti potrebbero non ritornarci più”.

Un quadro inquietante, che non risparmia città più piccole come Genova, un tempo vertice del triangolo industriale, che dalle Colombiane del ‘92 prova a reagire alla deindustrializzazione proponendosi come meta turistica, e che, denuncia il SUNIA locale, nella classifica italiana dei senza tetto – qui sono 3.000 – arriva quinta. Non a caso qui un mese fa è sbarcato il Social Forum dell’Abitare, coalizione di sindacati degli inquilini e dei lavoratori, movimenti per il diritto alla casa, associazioni, finanza solidale e terzo settore, che a Genova ha discusso con esponenti politici – da Cecilia Strada a Ilaria Salis alla ex sindaca di Barcellona Ada Colau –, attivisti e studiosi. Sono emersi dati e spunti di riflessione, ma anche proposte ed esperienze di lotta concrete.

Che fare?

“Con CGIL, sindacato pensionati, Genova Solidale e altri ”, ci racconta Bruno Manganaro, segretario generale del SUNIA Genova, “ci siamo dati come obiettivo che nessuno finisca in strada. Se non c’è una soluzione abitativa alternativa, lo sfratto va sospeso. Anche perché spesso sono anziani, invalidi, persino malati oncologici o lavoratori indietro con gli affitti perché sono stati licenziati, ma che oggi hanno ripreso a lavorare e sono pronti a saldare il loro debito a rate”. Poi c’è il rapporto con le istituzioni: a gennaio SUNIA, SICET, UNIAT incontreranno l’ex vicesindaco Piciocchi, che sostituisce ad interim Bucci, oggi in Regione, per mettere a punto un meccanismo in cui l’Agenzia della Casa del Comune si faccia mediatrice tra associazioni inquilini e proprietari per agevolare l’incontro tra domanda e offerta: “Di fatto agirebbe come un’agenzia immobiliare pubblica, che raccoglie le richieste di alloggi, verifica la solvibilità dei richiedenti e chiede ai proprietari di affittare loro a canone concordato”, spiega Manganaro. “Ma al Comune chiediamo anche di fare da garante economico, istituendo un fondo a cui attingere in caso di morosità degli inquilini. Una copertura che potrebbe arrivare a due anni e da cui potrebbero trarre vantaggio anche i lavoratori che arrivano da fuori, dagli appalti di Fincantieri ai 500 infermieri che la sanità ligure deve assumere”.

Col Comune di Genova gli inquilini hanno già fatto un accordo sull’auto-ristrutturazione per chi ha diritto alla casa popolare, ma se la vede negare per carenza di alloggi: “Se sei in grado di anticipare 3.000 euro puoi entrare in una casa che può essere messa a norma con piccoli interventi”, riassume il segretario del SUNIA, “ARTE, la società che gestisce il patrimonio pubblico, interviene sugli impianti e li certifica, l’inquilino si fa carico di altri piccoli lavori, anche in economia, e si scala i 3.000 euro dall’affitto”.

Se a Genova l’overtourism pesa relativamente meno, da Roma, dove di recente gli attivisti hanno occupato simbolicamente la sede di Booking.com, Fabrizio Nizi sottolinea che “Il tema centrale è la regolamentazione nazionale degli affitti brevi: la campagna ATA (Alta Tensione Abitativa), nata a Venezia nel 2021, con una proposta di legge che punta a limitare il numero degli immobili a uso turistico e la concentrazione proprietaria”. Ma anche nella Capitale ricostruire o rigenerare il patrimonio abitativo pubblico è urgente: “A Roma”, spiega ancora l’attivista di Action, “ci sono 18.5o0 famiglie in lista d’attesa, ogni mese se ne aggiungono 500 e il problema riguarda soprattutto i ceti popolari”. La soluzione? Acquistare gli alloggi sfitti, rigenerare il patrimonio pubblico o privato inutilizzato o dismesso. “Abbiamo 200 alloggi pubblici dismessi abbandonati al degrado in pieno centro. E intanto Roma ricorda sempre più la città degli anni ‘50, con 10.000 senza tetto, e le baraccopoli che tornano ad affacciarsi”. Oltre all’ERP – le case popolari – il pubblico può utilizzare la leva dell’housing sociale, immettendo sul mercato alloggi per chi può permettersi di pagare un canone, magari calmierato. Ma pesa la lentezza delle amministrazioni: “A Roma nel 2010 si decise di creare l’Agenzia sociale per la casa, ma ad oggi è ancora tutto fermo”, ricorda Nizi.

Il rapporto con la politica: tra repressione, dialogo e lotte

C’è poi il tema delle occupazioni abitative, che a Roma e a Milano sono un fenomeno rilevante. Secondo ATER, che gestisce il patrimonio abitativo della Regione Lazio, 7.000 persone senza titolo occuperebbero il 15% dei suoi alloggi sul territorio di Roma. Più una sessantina occupazioni collettive per circa 10.000 inquilini, come il Porto Fluviale, l’ex deposito militare a Ostiense, dove dopo 20 anni di occupazione sta per partire la rigenerazione. “A Milano secondo il gestore MM la quota di patrimonio abitativo occupato è intorno al 10%”, spiega Angelo Junior Avelli, del Comitato Inquilini di Via Padova, aderente al Social Forum, mentre le occupazioni collettive sono sostanzialmente due: lo Spazio di Mutuo Soccorso Piazza Stuparich a San Siro, circa trenta famiglie, e la Piscina Scarioni, zona Niguarda, una quarantina di persone, perlopiù migranti, rider, lavoratrici delle pulizie”.

Di recente le occupazioni sono entrate nel mirino del decreto Piantedosi, che utilizza i rari casi di chi occupa abusivamente alloggi già assegnati per colpire chi invece è costretto a scegliere tra occupare e la strada. Per Avelli “Il Decreto inasprisce in modo disumano le pene e trasforma in ‘occupanti’ anche famiglie sotto sfratto, per cui ci sarebbe ancora uno spazio di trattativa e che ora invece rischiano fino a sei anni”. Una norma indirizzata anche alla magistratura, che a Milano nei giorni scorsi, ribaltando il primo grado, ha assolto dall’accusa di essere un’associazione a delinquere il Comitato Abitanti Giambellino-Lorenteggio, che i suoi legali definiscono, al contrario, “una rete di solidarietà in un quartiere tra i poveri della città più ricca d’Italia”. Una rete che in questi anni ha sostenuto con attività di mutuo soccorso, scuole per stranieri, aiuto compiti, le occupazioni in un quartiere soggetto a un progetto di riqualificazione contestato dai residenti per le sue torsioni speculative.

A livello nazionale per Stefano Trovato, del Coordinamento Nazionale del Social Forum dell’Abitare, il bilancio del Forum, lanciato l’anno scorso a Bologna, è decisamente positivo: sia le campagne tematiche sia l’appuntamento di Genova stanno consolidando le relazioni interne tra le organizzazioni che ne fanno parte e ampliando l’interlocuzione con le reti sul territorio. “Stanno nascendo nuovi social forum in tutta Italia, tra gli ultimi Marche e Puglia”, rivendica, “e stiamo facendo emergere il tema della casa nel dibattito pubblico”. Tra i prossimi appuntamenti, prima del Social Forum 2025 a Napoli, un seminario nazionale tra febbraio e marzo. “Uno dei temi centrali sarà l’housing sociale, un’arma efficace, che però rischia di essere impugnata da settori della finanza pronti a impadronirsi di risorse pubbliche e specularci”. I movimenti per la casa tentano di consolidare la loro forza per trattare con la politica? “A Genova abbiamo già avviato un dialogo con la politica nazionale ed europea”, risponde Trovato. “Ci attende una fase difficile e vogliamo arrivarci con proposte di leggi ma anche di mobilitazione: ad esempio stiamo ragionando su una mobilitazione sul Salva Milano”.

A Genova l’ex sindaca di Barcellona Ada Colau, che al tema della casa ha dedicato ampia parte del suo mandato, ha indicato come prospettiva il “municipalismo europeo”, ma per Agostino Petrillo, “il problema è che sei in un’epoca in cui il potere delle città si riduce fatalmente per la competizione internazionale e i nuovi equilibri geopolitici e tornano gli Stati per ragioni di scala”. Per il sociologo del Politecnico, insomma, il rischio del municipalismo è autogestire risorse sempre più misere.

E per Manganaro siamo in un’epoca in cui si aprono conflitti, politici, economici e militari internazionali – si pensi alla crisi dell’automotive o alla competizione energetica – che ha enormi ricadute sociali, inclusa la questione abitativa. Perciò “Non dobbiamo farci illusioni: la nostra è una battaglia controcorrente. Se vogliamo ottenere dei risultati dobbiamo diventare un problema per le istituzioni, per la proprietà immobiliare, per la Prefettura, perché se non sei un problema non esisti e non sei neanche un soggetto con cui discutere”. Insomma tavoli di trattativa e regole vanno conquistati.


Pazzi per un affitto

In tutta Italia, la crisi degli affitti per gli studenti non si è mai risolta. E il turismo e il Giubileo complicano ancora di più le cose.

CATERINA MAGGI, 5 dicembre 2024

Una stanza in uno sgabuzzino, con il fornello come comodino? Un video circolato di recente a firma Ansa dimostra che non è un’offerta così peregrina da trovare nel mercato immobiliare italiano. Non sono bastate le tende fuori dai campus: per quegli studenti, anche lavoratori, che si trovano in difficoltà nel mercato immobiliare saturo l’emergenza non è mai finita. Dopo due anni di Dad, il ritorno alle lezioni in presenza negli atenei e dei turisti nelle città d’arte ha strangolato un mercato che già da tempo avrebbe avuto bisogno di riforme.

Secondo uno studio di Immobiliare.it, noto sito di cerco e trovo affitto, nel 2024 il caro affitti è cresciuto fino al 7% rispetto agli anni precedenti, così come la domanda che ha sfiorato il 27% di aumento di richieste. La città più cara resta Milano, dove il mercato degli affitti è strozzato anche a causa della gentrificazione e della sempre più ridotta permeabilità dell’hinterland: se una volta chi non poteva permettersi un affitti fuggiva nella prima cintura all’esterno della città, ora la situazione trasporti e il caro affitti colpiscono anche lì. E così un monolocale di dimensioni appena vivibili può arrivare a costare 1.311 euro, mentre una singola fino a 637. Lo stima un’indagine della start up Maiora Solutions. Non va meglio a Bologna e Torino, dove i prezzi per una stanza singola schizzano in alto rispettivamente del 23% e del 24%. Proprio la stanza-appartamento (appena 6 metri quadri) del micro reportage di Ansa, sotto le due Torri, viene a costare 600 euro al mese. Anche il Sud si adegua: città come Napoli, una volta più abbordabili, oggi offrono una camera singola a 566 euro, 12% in più rispetto al 2023.

La situazione affitti era rimasta “bloccata” durante gli anni della pandemia, quando le restrizioni e la didattica a distanza avevano tenuto molti fuorisede lontani, a casa di parenti o genitori. Un rallentamento analogo ha visto il mercato degli affitti a brevissimo termine destinati al turismo. Ma dopo il 2022, spiega Luca Scacchi, responsabile docenza universitaria FLC CGIL: «Gli Airbnb delle città turistiche, in particolare, sono tornati a pieno regime. Questo ha provocato un aumento dei prezzi degli affitti e ha ridotto il numero di stanze disponibili per affitti lunghi». Complice, anche, un sistema che rende più appetibile per gli affittuari riservare la casa ai turisti: «Anzitutto la tassazione è ridotta e i controlli sono meno frequenti. Inoltre – aggiunge Scacchi – adibendo l’appartamento ai turisti si può imporre un prezzo di circa 70/80 euro a stanza per notte, quindi il ritorno dell’investimento è più alto». Questo ha provocato un’esplosione del fenomeno, dovuto anche a una rinnovata crescita dei flussi turistici. A Roma, ad esempio, a complicare la situazione già non ottimale visto il numero di viaggiatori che affluiscono nella Città Eterna ogni anno, è intervenuto il Giubileo. Così, molti decidono di affittare i loro appartamenti a reddito non più agli studenti, ma ai pellegrini. E i prezzi di un monolocale lievitano, secondo Maiora, dell’80% con affitti medi intorno ai 1078 euro.

Non va meglio in città non tradizionalmente universitarie, dove cioè la presenza di fuorisede e studenti è meno tangibile. A Genova ad esempio la questione degli studentati è diventata un problema politico e motivo di scontro tra amministrazione comunale e realtà sociali. Famigerato il caso dell’ex sede di Economia: dapprima occupata dal centro sociale Buridda, che è poi stato costretto a lasciarla, era stato promesso che sarebbe stata riqualificata e trasformata in studentato. L’annuncio fu fatto nel 2014; dieci anni dopo l’edificio versa nello stesso stato di degrado precedente all’occupazione. Non è stato possibile raggiungere l’attuale sindaco ad interim, Pietro Piciocchi. Abbiamo pertanto chiesto a Filippo Bruzzone (lista rosso-verde) di raccontarci di più su un nuovo progetto edilizio, in un’altra sede storica universitaria: l’Albergo dei Poveri. «Per ora abbiamo visto solo i rendering, che ci raccontano un progetto per 180 posti di cui alcuni calmierati. Considerando che lo stabile in questione come palazzo storico ha bisogno di molti interventi specifici, e che di questi 180 posti alcuni sono in camere doppie, abbiamo fatto presente all’amministrazione che nell’ottica di un reale investimento per l’edilizia studentesca sono troppo pochi».

Dopo i primi sopralluoghi, in presenza anche di esponenti dell’opposizione, almeno sulla carta tutto sembra essersi fermato: «La commissione sull’Albergo non è stata aggiornata, e non abbiamo nemmeno ricevuto ulteriori informazioni sugli spazi Aliseo, sulle operazioni all’ex Buridda e così via. Abbiamo visto quel progetto solo una volta, il 19 Aprile 2024, nei due anni in cui è stato lanciato. Praticamente dovevamo discutere del progetto Albergo dei Poveri un anno fa, e siamo ancora al rendering». Se è vero che Genova ancora non subisce i flussi turistici e studenteschi congiunti di altre città (con annessi i loro problemi) «il rischio che questi problemi emergano c’è: mancano tavoli di lavoro ad hoc e strategie. Se l’Albergo dei Poveri non perde il suo obbligo sociale, cioè quello di offrire soluzioni accessibili, può essere un esempio virtuoso. Allo stesso tempo però rischiamo di avere comunque problemi sui troppi affitti brevi in altre aree: nel centro storico zone come Pre, Molo e Maddalena c’è già una crisi di questo tipo, con conseguente spopolamento in luoghi già problematici per le infiltrazioni della criminalità organizzata». Con le elezioni in arrivo tra sei mesi circa «è difficile che se ne parlerà, anche se cercheremo di sollecitare delle risposte. La visibilità di questo tema è legata alla campagna elettorale: se è un tema appetibile nel senso di “acchiappalike” e se nel mentre sono andati avanti, forse capiremo di più». Rimangono delle perplessità sulle procedure «che per carità, sono state assolutamente legittime. Ma è particolare che una parte degli operatori economici coinvolti sia la stessa che è già presente in altri progetti dell’amministrazione Bucci, come il Waterfront».

Certo, il Covid non ha migliorato la situazione caotica del mercato affitti italiano. Ma non è l’unica ragione dietro i prezzi folli di diversi immobili. Secondo Luca Scacchi, la carenza di strutture abitative universitarie sarebbe dovuta anche a una particolare politica, degli ultimi 15 anni, in riferimento al diritto allo studio. «Le risposte istituzionali, locali e nazionali, hanno portato verso le residenze private come gli student hotel. Salvo alcuni casi però, che mettono a disposizione il 15% o 20% circa delle camere a prezzi calmierati, si tratta di soluzioni non alla portata di tutti: ad esempio a Roma le stanze in studentato privato possono costare fino a 800 euro». Secondo lui, gli investimenti del PNNR in materia (1 miliardo di euro) che avrebbero dovuto portare a un aumento dei posti disponibili (130 mila) non sono sufficienti. «Intanto, gli studenti fuorisede in Italia censiti sono circa 800 mila. Inoltre, sono investimenti e politiche che sono stati rivolti soprattutto a facilitazioni sui processi edilizi e sugli obblighi progettuali. Ma non cambiano le dinamiche – puntualizza Scacchi – perché intervengono comunque in contesti privati». In più: «sono state fatte rientrare nei finanziamenti case dello studente già ultimate, il che probabilmente causerà qualche rimprovero dall’Unione Europa. E non trovando soggetti pubblici che si prendano in carico i progetti di edilizia studentesca, è difficile che riescano a spendere tutti i fondi concessi».

Si tratta di politiche che comunque, secondo Scacchi: «Sono state attuate da centro destra tanto quanto dal centro sinistra. I finanziamenti alle case dello studente così come ad altri servizi rivolti agli universitari, ad esempio le mense, sono stati tagliati con l’accetta già dal 1993, quando si decise che con l’autonomia universitaria anche i servizi di questo tipo sarebbero stati messi a carico degli studenti. E nel 1993 i governi in carica furono quello di Amato e Ciampi». Una storia di ritardi e disattenzioni italiana insomma, tristemente frequente nel nostro Paese. Di ritardi anche nei confronti di altri Paesi europei: in Germania, Francia e Belgio agli studenti sono concesse agevolazioni sia nella forma di veri e propri assegni (nel caso del Belgio, e fino a 500 euro) sia con bandi per posti in studentati pubblici. Certo, anche lì non mancano le proteste per la scarsità degli alloggi, soprattutto a Parigi dove si trovano rinomate università come SciencePo. Ma perlomeno, sembra che tentino di affrontare il problema.

Intanto, le attuali risposte sono quantomeno discutibili: ok all’abitabilità anche per appartamenti con altezze non superiori a 2,40 metri e superfici non superiori a 20 metri quadrati per i monolocali e a 28 metri quadrati per i bilocali. Forse meglio le tende, per gli studenti in cerca di un posto dove costruire il proprio domani.

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