print
CAPITALISMO Il 20 marzo a Pointe-Noire, Repubblica del Congo, dirigenti di ENI e di una quarantina di imprese, parecchie delle quali  italiane, sottoscrivono un accordo legato alla produzione di gas liquido in società con la seconda compagnia petrolifera russa, Lukoil, anch’essa presente coi propri emissari, e con l’azienda petrolifera di Stato del regime di Denis Sassou-Nguesso. Lo stesso giorno Lukoil annuncia di aver presentato, ancora in coppia con ENI, un’offerta congiunta per lo sfruttamento di altri due blocchi offshore al largo delle coste congolesi. Ma nel corso della cerimonia a Pointe-Noire, riferiscono i testimoni, nessun italiano cita mai l’azienda russa e la stampa italiana si guarda bene dal parlare degli “affari col nemico”. Insomma l’imperialismo italiano con una mano invia armi a Kiev e punta l’indice accusatore contro i pacifisti, con l’altra continua a fare affari con Mosca (e con le dittature africane).


CONGO Gli affari di ENI coi russi 

10 miliardi di dollari investiti sulla produzione di gas naturale liquido a Marine XII, al largo della Repubblica del Congo, in cui ENI è socia al 65% con la seconda compagnia energetica russa Lukoil (25%) e col regime di Denis Sassou-Nguesso (10%). Ma i dirigenti ENI presenti a marzo alla firma del Pledge for Safety non citano mai i russi.

MARCO VERUGGIO, 5 aprile 2023

In piedi attorno a un ampio tavolo circolare, collocato nel parco della Centrale électrique du Congo (CEC) a Pointe-Noire, sul cui ripiano è impressa una riproduzione gigante del logo dell’ENI, si trovano alcune decine di persone. Sono tutte in giacca e cravatta, nonostante il sole cocente e una temperatura che sfiora i 35 gradi. Tra loro il ministro degli idrocarburi della Repubblica del Congo Bruno Jean-Richard Itoua, il direttore delle attività upstream dell’ENI Luca Vignati, quello della controllata ENI Congo SA, Mirko Araldi, e altri dirigenti dell’azienda di Stato italiana degli idrocarburi, ma anche di altre una quarantina di imprese del suo indotto, parecchie italiane.

FIGURA 1: foto di gruppo per i firmatari del Pledge for Safety (Fonte: Linkedin)

Molti di loro non resistono alla tentazione di dare solennità alla propria presenza pubblicando sui propri social personali o aziendali immagini che li ritraggono mentre firmano un accordo a quanto pare importantissimo. È il “Pledge for Safety”, l’impegno per la sicurezza del progetto per la produzione di gas naturale liquido (LNG) a Marine XII, uno dei blocchi offshore in cui è suddiviso lo specchio di mare prospiciente Pointe-Noire, sottoscritto il 20 marzo da tutti i protagonisti dell’operazione. Dominano ENI, la russa Lukoil e SNPC, azienda petrolifera di Stato della Repubblica del Congo (o Congo Brazzaville, da non confondersi con la Repubblica Democratica del Congo).

FIGURA 2: post di Expertise/Proteco sulla firma dell’accordo (Fonte: Linkedin)

Dal 2015, l’anno in cui ENI ha scoperto un nuovo giacimento da 200-300 milioni di barili proprio nel blocco Marine XII, il Congo impone a chi ottiene una licenza per la trivellazione di condividerne i benefici con SNPC e le imprese locali private. In questo caso, osserva il sito Africa Intelligence, il paese proprietario dei giacimenti “potrebbe non cogliere i vantaggi del progetto in tempi brevi. L’accordo tra le parti, infatti, prevede che il Congo riceva il 20% dei profitti ricavati dal gas fino a che la produzione totale non raggiungerà i 10 milioni di tonnellate, ma a condizione che ENI ammortizzi gli investimenti. La sua quota aumenterà man mano che cresce la produzione, raggiungendo il 40% se il LNG estratto supera i 40 milioni di tonnellate”. Quanto ci impiegherà ENI a rientrare è difficile dirlo, dal momento che le sue entrate si fonderanno su una scommessa dalle prospettive abbastanza incerte: “Anche se l’export annuo è pari a soltanto poche gasiere cariche di LNG l’anno, la guerra in Ucraina e il conseguente picco dei prezzi del gas dovrebbe consentire alla compagnia energetica italiana di venderlo a prezzi interessanti”.

Idrocarburi, affare di famiglia

Per Denis Sassou-Nguesso, l’ex colonnello al potere dal 1979 al 1992 grazie a un colpo di Stato e dal 1997 a oggi grazie a una guerra civile, l’accordo potrebbe rivelarsi comunque vantaggioso. Perché, come ha spiegato Andrea Ngombet, attivista anticorruzione congolese residente in Francia (dove fa anche politica nell’UMP) al sito Investigate Europe: “Il settore petrolifero in Congo funziona come un cartello. I protagonisti si conoscono tutti tra loro e insieme fanno enormi profitti”. “Tutti gli operatori più improbabili vedono il Congo come il paese del bengodi”, prosegue Ngombet, “Se sono disponibili a lavorare come prestanome possono arrivare qui con le tasche vuote e ripartire miliardari”. Ma non vale solo per il petrolio.

L’International Consortium of Investigative Journalism (ICIJ), analizzando documenti tratti dai Panama e Pandora Papers, ha scoperto, ad esempio, che il presidente Sassou-Nguesso controllava le miniere di diamanti del Congo mediante una società schermo, la Interafrican Investment LTD, mentre l’inchiesta di Investigate Europe che abbiamo citato, pubblicata ai primi di marzo col titolo “Gli interessi segreti delle compagnie petrolifere europee con la famiglia al potere”, rivela che la figlia del presidente, Julienne Sassou-Nguesso, tramite aziende locali e prestanome, avrebbe detenuto il 15% di un’azienda norvegese operante nell’indotto del colosso anglofrancese Perenco, a cui il governo nel 2017 aveva concesso una licenza di trivellazione nel giacimento PNGF Sud. Grazie a questa operazione nel 2018 avrebbe raccolto dividendi per 3,3 milioni di dollari, il 3% del giro d’affari complessivo. L’inchiesta cita anche il processo per corruzione da cui alcuni manager dell’ENI sono usciti nel 2021 patteggiando una condanna a 800.000 euro di sanzioni e 1 milione di euro di indennizzi e ottenendo dal Tribunale di Milano la riclassificazione del reato da corruzione a concussione per induzione: non avrebbero corrotto i funzionari congolesi, ma sarebbero stati vittime delle loro pressioni (PuntoCritico030323). Non dice, invece, come ha fatto nel 2018 l’Espresso, che i giudici francesi, indagando sul riciclaggio di ingenti quantità di denaro pubblico del Congo, hanno scoperto che la stessa Julienne Sassou-Nguesso era socia di una società offshore con sede alle Mauritius insieme alla moglie dell’ad di ENI Claudio Descalzi, Marie Madeleine Ingoba.

Marine XII è uno dei “blocchi” in cui è suddiviso il mare al largo delle coste congolesi, nel cui sottosuolo si trovano numerosi giacimenti petroliferi. L’accordo tra ENI, Lukoil e SNPC attiverà il primo progetto per la produzione di gas naturale liquido (LNG) in Congo. Il gas, liberato nel processo di estrazione del petrolio, verrà inviato a due piattaforme galleggianti per la liquefazione (FLNG). Il primo, Tango, dotato di una capacità di liquefazione di 600.000 tonnellate l’anno (mtpa) di gas, dovrebbe diventare operativo entro la fine del 2023; mentre il secondo dovrebbe raggiungere una capacità di 2,4 milioni di mtpa entro il 2025. Nell’operazione verranno investiti quasi 10 miliardi di dollari. Finora il gas proveniente da Marine XII, l’impianto che dal 2015 produce petrolio e gas provenienti dai giacimenti di Nene e Litchendjili, veniva riversato nella Centrale électrique du Congo di Pointe-Noire, 484 Megawatt di potenza, da cui esce il 70% dell’energia elettrica del paese, mentre il resto veniva bruciato, utilizzando la discussa pratica del flaring, che produce inquinamento ed enormi quantità di CO2 nell’atmosfera.

FIGURA 3: mappa dei blocchi offshore (Fonte: Energy-pedia)

Itoua dirige il ministero degli idrocarburi dal 2021 e vigila con attenzione sulla realizzazione del progetto. Da quando la francese TotalEnergies ha attivato l’impianto Moho Nord, nel 2017, nessun operatore straniero ha più investito somme significative nel paese. Ma oltre a fornire vantaggi finanziari la produzione di LNG a Marine XII servirà anche a fare un po’ di greenwashing a beneficio del presidente – di cui Itoua parla come del “padre della strategia del Congo in materia di gas”, facendo intendere che commercializzare il gas è anche un modo per contribuire alla transizione energetica. La produzione di LNG, infatti, dovrebbe limitare il ricorso al flaring, bandito dalla legge congolese dal 2007, ma in molti casi autorizzato in deroga proprio dal ministero di Itoua.

Italiani brava gente

Le imprese italiane che operano in Congo nel progetto Marine XII hanno visto immediatamente baluginare davanti ai loro occhi numerose opportunità di guadagno. Il futuro programma di trivellazioni prevede, tra l’altro, l’apertura di 41 nuovi pozzi e 7 nuove teste di pozzo collegate agli impianti di liquefazione, che necessiteranno anche di costante manutenzione. In Congo l’ENI ha molti progetti in corso, che coinvolgono la controllata congolese di Saipem, BosCongo, ma anche un nugolo di piccole-medie imprese dell’indotto, spesso espressione del tradizionale capitalismo familiare italiano. Oltre al RINA, erede del Registro Navale italiano, che lavora sulla certificazioni di conformità, ci sono tre aziende di Ravenna, Micoperi, della famiglia Bartolotti, nel 2012 artefice del recupero del relitto della Costa Concordia; Dayan, sede legale a Pescara, controllata da un pool di società britanniche, tra cui la società di servizi petroliferi Exlog e la banca HSBC, che si occuperà dei pozzi, e Rana Diving, azienda specializzata nella posa di tubazioni sottomarine e impianti offshore; più la savonese Expertise della famiglia Bracco (Chiara Bracco è vicepresidente dei giovani imprenditori savonesi) tramite la controllata Proteco (Projets Techniques Congo) e, infine un’altra nota azienda familiare, il gruppo milanese Pellegrini, per i contratti di catering.

Menzione a parte merita l’abruzzese Proger, una delle maggiori società di ingegneria italiane, che, secondo Africa Intelligence, coordinerà gli studi sull’impatto ambientale di Marine XII.  Controllata al 96,46% da Proger Ingegneria srl (soci tramite una catena di scatole societarie abbastanza complessa sono un gruppo di ingegneri e professionisti, ma anche la compagnia britannica Cadogan Petroleum) l’azienda pescarese è stata fondata da Roberto De Santis, imprenditore salentino e storico amico di Massimo D’Alema, arrestato su ordine della magistratura pugliese a settembre per una vicenda di corruzione e coinvolto nello scandalo delle mascherine nel Lazio. I due vicepresidenti sono niente di meno che Chicco Testa, fondatore di Legambiente, ex deputato PCI e PDS ed ex presidente di ENEL e quell’Antonio Mastrapasqua, ex presidente INPS, arrivato a collezionare 25 incarichi in società pubbliche (da sommare ai 20 della moglie), anche grazie a una laurea annullatagli da un tribunale perché aveva pagato per superare due esami. Mastrapasqua, tra l’altro, è anche presidente del CdA della controllante Proger Ingegneria.

Affari col nemico…

La piattaforma Tango è stata acquistata dall’armatore belga Exmar, mentre per costruire il secondo terminal FLNG ENI si è rivolta alla cinese Wison, che a gennaio ha celebrato il taglio della prima lamiera. La compagnia energetica italiana inizialmente avrebbe preferito utilizzare una nave gasiera della New Fortress Energy (NFE) di proprietà del magnate americano Wes Edens, ma dopo che il negoziato con NFE si è arenato, ENI ha deciso di rivolgersi ai cinesi, con piena soddisfazione di Itouba, preoccupato che il leasing con gli americani facesse lievitare i costi operativi. Tuttavia anche il fatto che la Cina detenga quasi un quarto del debito pubblico del Congo, circa 6.000 miliardi di franchi CFA, pari al 98% del PIL, e che dopo la crisi finanziaria provocata dalla pandemia Xi Jinping si sia dichiarato pronto a un negoziato sulla sua ristrutturazione, potrebbe aver influito.

FIGURA 4: cerimonia per il taglio della prima lamiera (Fonte: wison.com)

Nella gestione di Marine XII ENI è socia di maggioranza al 65%, la compagnia privata russa Lukoil (la seconda per stazza dopo Gazprom) è socia al 25% e SNPC detiene il restante 10%. Pochi giorni prima della firma del “Pledge for Safety” Ivan Romanovski, vicepresidente di Lukoil per l’America, l’Africa e il Medio Oriente, ha incontrato Itoua, e ha dichiarato di voler espandere la presenza della società in Congo acquistando nuovi blocchi offshore. Il 20 marzo Lukoil ha assicurato la presenza dei suoi dirigenti a Pointe-Noire alla cerimonia della firma, ma né i dirigenti dell’ENI in Congo – l’ad Mirko Araldi, il direttore tecnico Andrea Barberi e il direttore per lo sviluppo Luca Faccenda – né quelli provenienti dal quartier generale romano – Vignati e il responsabile HSEC (Health Safety Environment and Quality) Roberto Dall’Omo – nei loro interventi hanno citato neppure una volta  il nome del loro socio russo né quello della congolese SNPC. Il giorno stesso il quotidiano russo Kommersant annunciava che Lukoil ed ENI avevano sottoposto al governo congolese un’offerta congiunta per lo sfruttamento dei blocchi Marine XXIV e Marine XXXI, precisando che secondo Romanovski la società russa potrebbe essere socia della compagnia italiana con una quota del 43%. In Italia nessun organo di informazione ha riferito la notizia. Insomma se si hanno rapporti poco chiari con Putin non si può dirigere l’orchestra della Scala di Milano, ma si possono fare affari con l’ENI.

FIGURA 5: l’annuncio dell’offerta congiunta ENI-Lukoil (Fonte: Twitter)

Dopo lo scoppio della guerra in Ucraina la società russa si è mossa in modo molto abile, riuscendo a mantenere quote di mercato e profitti. “Lukoil ha lobbisti molto capaci […] hanno faccendieri a Bruxelles e in tutta Europa”, ha dichiarato a Politico.eu Martin Vladimirov, ricercatore al Bulgaria’s Center for the Study of Democracy. “Sono riusciti a convincere i legislatori europei che Lukoil sostiene l’Ucraina e che il loro management è contro la guerra”. Pochi giorni dopo l’invasione del 24 febbraio il cda, infatti, ha diffuso un comunicato in cui esprimeva “la più profonda preoccupazione per i tragici eventi in Ucraina” e faceva appello a “metter fine alla guerra al più presto”. Ma quando, nel settembre successivo, il presidente Ravil Magalov, è precipitato da una finestra al sesto piano di un ospedale di Mosca, secondo alcuni lo stesso giorno della visita di Putin al nosocomio, la compagnia ha diffuso un comunicato in cui si limitava a dire che Magalov era “mancato a seguito di una grave malattia”, il che fa pensare che dopo quel fatto, seguito alla morte altrettanto misteriosa di un altro manager, Alexander Subbotin, la fronda, ammesso che ci sia mai stata, sia rientrata e che l’azienda sia sotto il pieno controllo del Cremlino.

Soggetta alle sanzioni americane dal 2014, ma non a quelle europee, di recente Lukoil è stata comunque costretta a vendere al fondo cipriota GOI Partner la raffineria ISAB di Priolo, una delle più grandi in Europa, il 22% della capacità di raffinazione italiana, dopo essere stata messa in amministrazione fiduciaria dal governo Meloni. Con le sanzioni al petrolio russo, entrate in vigore a dicembre, l’impianto, che lavorava al 90% con greggio proveniente dalla Russia e occupa un migliaio di persone (10.000 con l’indotto), rischiava la chiusura, soprattutto dopo che un’inchiesta del Wall Street Journal ha rivelato che la Russia utilizzava un buco nella normativa sulle sanzioni per commercializzare il suo petrolio, che in Sicilia, oltre che raffinato, veniva “italianizzato” ed esportato addirittura negli USA.

Forse proprio per non urtare l’alleato americano i manager di ENI e i media italiani hanno dato meno pubblicità possibile alla firma del 20 marzo, dopo che, in aggiunta a tutto il resto,  il fondo americano Crossbridge, in corsa per acquisire la raffineria di Priolo, si  è visto superato da una società che gli americani giudicano “vicina a Lukoil”. Persino Nathalie Tocci per una volta ha messo da parte la sua roboante retorica atlantista, stendendo un velo interessatamente pietoso sul fatto che l’ENI, di cui è consigliera di amministrazione, fa affari col nemico. Nel frattempo si fanno sempre più insistenti le voci della conferma di Claudio Descalzi ai vertici di ENI da parte di Giorgia Meloni: “È consigliere della premier, organizza viaggi all’estero, suggerisce nomine (e spin-doctor)” chiosava Emiliano Fittipaldi sul Domani del 17 marzo. Petroleum non olet.

 

Utilizzando il sito, accetti l'utilizzo dei cookie da parte nostra. maggiori informazioni

Questo sito utilizza i cookie per fornire la migliore esperienza di navigazione possibile. Continuando a utilizzare questo sito senza modificare le impostazioni dei cookie o cliccando su "Accetta" permetti il loro utilizzo.

Chiudi