PRIMO PIANO ‘Con Varoufakis per un europeismo antiestablishment’

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Lorenzo Marsili è uno dei fondatori di DiEM25, il movimento politico di Yanis Varoufakis, l’ex ministro delle finanze greco, e coautore, insieme allo stesso Varoufakis, del volume Il Terzo spazio. Oltre establishment e populismo (Laterza, 2017). DiEM25, nato con l’obiettivo di redigere una costituzione democratica che sostituisca gli attuali trattati europei entro il 2025, dichiara circa 70mila iscritti e un centinaio di gruppi in Europa, ma – come ci racconta Lorenzo Marsili nell’intervista – proprio in queste settimane ha iniziato a costruire una rete più capillare: in Italia costituirà i propri coordinamenti in ogni regione entro aprile. L’obiettivo dichiarato è lanciare una lista transnazionale per le elezioni europee del 2019 e più in là forse un vero e proprio partito. Una proposta che Varoufakis ha lanciato in Italia una settimana fa a Napoli insieme al sindaco De Magistris, che ha già raccolto la proposta di DiEM25, e a movimenti provenienti da diversi paesi europei. Guidati da senso di curiosità gli abbiamo chiesto di parlarci di un progetto che ha almeno un pregio: affrontare la questione dell’opposizione alle politiche neoliberali e alle èlites europee rifiutando la logica delle ‘piccole patrie’.  Una novità nella sinistra cui siamo abituati, anche se –ci spiega Lorenzo Marsili – loro più che di sinistra preferiscono definirsi antisistema.

Come inizia la collaborazione con Varoufakis?

Con Yanis il rapporto è iniziato due anni fa, dopo la tragica estate del luglio 2015, in cui il governo di cui faceva parte venne messo all’angolo da tutte i governi europei, incluso quello italiano. Come è noto Yanis si dimise per non sottoscrivere il memorandum della Troika. Io lo incontrai ad Atene proprio in quell’estate e cominciammo a ragionare su un approccio politico in grado di contrastare le politiche di austerità dell’UE ma allo stesso tempo di rifiutare l’isolamento. Di lì a poco, nel febbraio del 2016, ci fu l’iniziativa di lancio di DiEM25 a Berlino. La nostra scommessa è portare avanti – l’espressione è un po’ paradossale – un ‘europeismo antisistema e antiestablishment’. Sosteniamo un modello di società aperta, siamo per l’abbattimento delle frontiere e la libera circolazione con qualche eccezione, ad esempio quando ciò significa libera esportazione di  capitali nei paradisi fiscali.

Cosa è uscito da Napoli e che cos’è concretamente una lista transnazionale?

Da Napoli è uscita la concretizzazione dell’idea di un’unica lista politica continentale da presentare alle europee del 2019 con la partecipazione di movimenti europei come il nostro, forze politiche nazionali ed esperienze municipaliste come quella di De Magistris. Una lista e un partito transnazionali sono frutto della necessità di andare oltre gli attuali ‘partiti ombrello’ di natura confederale, che si sono rivelati una sommatoria di partiti nazionali, privi di una posizione politica unitaria sulle questioni fondamentali, per cui all’interno dello stesso gruppo parlamentare europeo, ad esempio, ci sono partiti che vogliono gli immigrati e partiti che non li vogliono. Vogliamo costruire uno schieramento coerente e credibile. Un’unica lista, approvata collettivamente, con 700 candidati che si distribuiranno nei diversi paesi e un’unica campagna elettorale. A giugno lanceremo questo percorso con sette grandi appuntamenti in sette capitali europee.

Significa anche candidati che si presentano in un paese diverso dal loro?

Certo. Penso ad esempio che la candidatura di Varoufakis in Germania avrebbe un notevole valore simbolico.

Hai caratterizzato DiEM25 come un movimento antisistema che lotta per una società aperta. Vi definite anche di sinistra?

Diciamo che oggi chi si batte per una società aperta è prevalentemente espressione dell’establishment. In italia +Europa è l’espressione paradigmatica di questa tendenza. DiEM25 al contrario vuole coniugare questa idea di società aperta con quella di una rottura politica. Per quanto riguarda destra e sinistra noi preferiamo definirci attraverso le posizioni che sosteniamo piuttosto che attraverso un’etichetta, però chi ha fondato il movimento viene da sinistra, dal movimento ecologista e femminista, da esperienza municipaliste.

Tu da dove vieni politicamente e socialmente?

Io non ho mai fato attività politica di partito. Il mio battesimo è stato il movimento no global agli inizi degli ani 2000. All’epoca avevo 16 anni. Poi ho continuato a lavorare su temi sollevati da quel movimento come la riforma della globalizzazione, la giustizia fiscale e ambientale.

Aldilà delle etichette, destra e sinistra di solito indicano una scelta in termini di rappresentanza sociale. A chi vi rivolgete?

Se il centrosinistra ormai vince solo più nel centro di Roma e di Milano, mentre i lavoratori e i disoccupati votano Lega e M5S, vuol dire che c’è uno scollamento evidente tra la sinistra e la sua base sociale tradizionale. Noi abbiamo un approccio abbastanza comprensivo. Dal 2008 a oggi abbiamo visto che la redistribuzione della ricchezza nel quadro delle politiche neoliberali non funziona. Una fascia ristretta si arricchisce e sono appunto quelli che vivono in centro a Milano e a Roma. Poi c’è un grandissimo spazio di malessere sociale e psicologico, gente che non ha lavoro o è sottopagata, i trentenni come me, che non riescono costruirsi una carriera che permetta loro comprare casa o mettere su famiglia. Insomma, per la maggioranza dei cittadini questo sistema è fallito. E serve una discontinuità col passato. Non sarà il 99% – come recita lo slogan –, ma c’è un 60%-70% della società che ha bisogno di una rivoluzione culturale e politica.

Come giudichi partiti come Liberi e Uguali e Potere al Popolo?

LeU è la dimostrazione di quanto sia importante in politica la credibilità. Puoi anche avere proposte corrette, come ad esempio quella di ridurre l’orario di lavoro a 32 ore a parità di stipendio. Ma quando sono 25 anni che stai dentro l’establishment a fare il contrario e ti converti improvvisamente sulla via di Damasco è chiaro che poi la gente non ti crede. Per quanto riguarda PaP credo che l’esperienza dell’OPG a Napoli – penso al mutualismo e agli sportelli per i migranti – rappresenti una buona pratica che va sostenuta.  PaP ha messo in moto e ridato entusiasmo a un mondo dell’attivismo di cui anch’io faccio parte e anche se il risultato è stato quello che è stato, quel sentimento va preservato. Allo stesso tempo con loro bisognerà chiarire alcuni punti sul tema dell’Europa. Quando sento dire che se l’Europa non accoglie le nostre proposte dovremo uscire e fare l’Unione Mediterranea, mi  viene in mente che nel Mediterraneo ci sono anche al Sisi e la Libia. Spero che con loro si possa affinare insieme una posizione più equilibrata sull’UE.

Facciamo un esempio: ILVA e trasporto pubblico. Che soluzione proponete?

ILVA è indicativa di alcune grandi contraddizioni tipiche della nostra società. La prima cosa che dico è che il ricatto salute-lavoro è irricevibile. Poi che al di sopra delle singole crisi aziendali c’è un modello economico più generale che non funziona, in cui rientra anche un tipo di sviluppo industriale che porta l’ecosistema verso il baratro. Noi proponiamo un piano di investimenti del 4,5% del PIL continentale, circa 500miliardi. Un new deal in cui la Banca Europea degli Investimenti dovrebbe essere protagonista. Ciò significherebbe avere la possibilità di allocare risorse per la riconversione dei cicli produttivi e e favorirebbe anche il mantenimento della produzione industriale in loco in alternativa alla delocalizzazione, dal momento che la riconversione aumenterebbe anche la produttività. Il fenomeno delle delocalizzazioni poi andrebbe gestito evitando la concorrenza tra lavoratori e cercando al contrario di innescare dinamiche di crescita dei salari per tutti. In questo c’è spazio anche per una sorta di ‘protezionismo solidale’, che vincoli l’accesso al nostro mercato ad alcuni standard relativi alle condizioni di lavoro e al rispetto dell’ambiente. Anche sul trasporto la questione degli investimenti pubblici è fondamentale. Significa salvaguardare l’ambiente, ma anche la qualità della vita delle persone, in particolare delle fasce più deboli della società. Di solito chi è costretto a farsi due ore di coda per andare a lavorare è chi sta più in basso nella scala sociale.

Che ruolo ha la mobilitazione sociale nella vostra proposta?

Un ruolo importante. Noi siamo soliti dire che vogliamo ‘hackerare’ o se vogliamo ‘dirottare’ il processo delle elezioni europee. E’ importante avere un gruppo parlamentare europeo con un programma unico e credibile, ma per noi si tratta di un veicolo di accelerazione del conflitto sociale. I parlamentari che eleggeremo dovranno costituire un nucleo al servizio dei movimenti sociali e dei cittadini. Anche per questo lanceremo la campagna elettorale a giugno.

Che rapporti avete col sindacato?

Ci sono due livelli. Da una parte ci sono sindacati nazionali – penso ad esempio alla CGIL –  che devono aggiornare le loro pratiche, imparare a interpretare un mondo del lavoro che cambia, ma anche affrancarsi da una classe politica di sinistra che non vede alternative al neoliberalismo. Poi serve un’azione sindacale a livello europeo: pensiamo ad esempio al ricatto che viene fatto pesare sui  lavoratori FIAT usando lo spostamento di una filiera produttiva dall’Italia alla Polonia. Una situazione in cui i sindacati italiani difendono i posti di lavoro, mentre a quelli polacchi tutto sommato non dispiace una decisone che porterebbe più lavoro nel loro paese. Da questo punto di vista la Confederazione Europea dei Sindacati è inesistente e di fatto presenta gli stessi vizi dell’azione intergovernativa a Bruxelles, riproponendo veti reciproci e un’incapacità di fondo di fare sintesi. Col risultato che il grande capitale ha una coesione di classe a livello internazionale, mentre le forze della cittadinanza e del lavoro sono divise dai confini nazionali.

Prossimo appuntamento in Italia?

Intanto in queste settimane ci stiamo strutturando a livello locale. La prima assemblea regionale si è svolta sabato scorso in Lombardia ed entro la fine di aprile dovremmo avere dei coordinamenti in tutte le regioni. Parlo di DiEM25, perché al momento non c’è ancora il soggetto italiano che promuoverà formalmente la lista transnazionale. Quest’ultima nascerà attraverso un processo di ‘confluenza’. Il modello è quello di Ada Colau a Barcellona, dove c’è stata una confluenza, appunto, di esperienze sociali e politiche. Nei prossimi due mesi chiuderemo anche la prima bozza di programma elettorale e chiederemo le adesioni dei vari movimenti. A giugno – come ti dicevo – ci sarà  il lancio della campagna elettorale, ma, per quanto riguarda l’Italia, non sappiamo ancora in quale città. L’ideale sarebbe riuscire a organizzare tre iniziative: una al nord, una al centro e una al sud.

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