SOCIETA’ Il Datagate
, lo scandalo che sta investendo Facebook, rappresenta una preziosa opportunità per riflettere su come la digitalizzazione e l’utilizzo dell’intelligenza artificiale al servizio del Potere politico-economico rappresentino una sfida globale per l’umanità, ma in particolare per il mondo del lavoro e quelle che una volta chiamavamo le classi subalterne. Ma guardare alla punta dell’iceberg
senza tenere presente che il vero problema si nasconde sotto il pelo dell’acqua significa fare un cattivo servizio all’informazione. E può portare da una parte ad attribuire alla tecnologia responsabilità che sono soltanto umane, o – se vogliamo – del nostro modello di organizzazione sociale, dall’altra a sopravvalutare gli effetti più superficiali dell’innovazione tecnologica, ignorando quelli più pericolosi. Mentre sarebbe importante riflettere su eventuali strategie difensive. POLITICA Dall’America ci arriva anche una sollecitazione ad analizzare con la stessa attenzione, evitando schematismi controproducenti, il fenomeno del populismo. Jan-Werner Mueller, docente a Princeton e autore di un saggio sull’argomento che uscirà a maggio in Italia, respinge l’idea che la crescita del populismo sia l’effetto di un deficit culturale degli elettori. Un’idea che va di pari passo con quella che americani e britannici abbiano scelto Trump e la Brexit a causa di qualche milione di post su Facebook. Nell’establishment
americano maturano analisi un po’ più serie di quelle che abbiamo ascoltato qui da noi nelle ultime settimane.
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